45.SAPEVO CHE ERI UN PROBLEMA

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Jorge Pov.
"Sei sicuro di star bene, tesoro"? domandò Martina per la quarta volta, dal suo tono di voce sembrava preoccupata.
Sospirai contro al mio cuscino. No, non stavo bene, ma fui felice del fatto che non potesse vedermi attraverso il telefono per constatare il contrario.
"Sì, sono solo stanco," dissi cercando di apparire convincente, fingendo uno sbadiglio.
Smise di parlare per un secondo. "Okay, se sei sicuro di questo..." biascicò, ovviamente sapendo che c'era dell'altro, perché sapeva leggermi come un libro aperto, ma non insistette. "Riposati. Ti farò ballare parecchio stasera," aggiunse con una risata.
Ridacchiai. "Non vedo l'ora," dissi senza entusiasmo.
Ero preoccupato per questa cosa del ballo invernale, e non solo perché avrei dovuto vestirmi ed andare in quella scuola piena di figli di papà. Onestamente, quelli erano - probabilmente per la prima volta - l'ultima delle mie preoccupazioni.
"Andiamo, Jorge. Sarà divertente, prendilo come riscaldamento per il mio ballo di fine anno," disse Martina e potei vederla sorridere mentre era sdraiata sul suo letto a fissare il soffitto.
"Oh, così hai intenzione di chiedermi di venire al ballo" dissi sorpreso. Si sarebbe svoltò tra cinque mesi. Non ero mai stato per così tanto tempo con una ragazza, ma, se per questo, non avevo mai avuto una vera relazione. Era tutto nuovo per me.
"A meno che tu non voglia che lo chieda a qualcun altro" disse, scherzando.
"No," risposi velocemente, il pensiero che Martina potesse ballare con un altro ragazzo mi faceva rabbrividire. Non condividerei mai la mia ragazza. "Sarò felice di ballare con te, anche se credo che dovrebbe essere il ragazzo a chiedere alla ragazza e non il contrario," continuai, prendendo il telefono nell'altra mano, mentre mi rigirai nel letto sfatto.

Martina rise. "Allora ti farò sapere al più presto quando si terrà, così potrai chiedermelo tu," mi schernì.
"Non mi piace quando ti prendi gioco di me, principessa," mi finsi serio, sebbene trovassi carino il fatto che scherzasse con me nel modo in cui lo facevo sempre con lei.
"Oh mio Dio, sta nevicando!" esclamò ignorandomi. La sentii muoversi e dopodiché emise un gridolino contro al telefono, al che dovetti allontanare l'apparecchio dall'orecchio. "La vedi la neve, Jorge? Aw, è così bella," mormorò, quasi come se avesse avuto il viso schiacciato contro al vetro della finestra.
Gettai un'occhiata alla finestra, senza nemmeno alzarmi. Si comportava come se non avesse mai visto la neve prima d'ora. "Sì, la vedo," dissi, ridendo alla sua reazione.
"Chiederò a Tommy se ha voglia di fare un pupazzo di neve," disse poi, come se avesse avuto la miglior idea di sempre.
Certe volte mi domandavo se avesse la sindrome da Peter Pan. "D'accordo, ma non dimenticarti la sciarpa o prenderai l'influenza," dissi, come se stessi parlando ad un bambino, il che fece sicuramente roteare gli occhi a Tini.
"Oh, stai zitto. Sto solo facendo un salto nella mia infanzia."
"Buona fortuna con il tuo pupazzo di neve." Non potei evitare di ridere ancora. In quale mondo ci si mette a fare un pupazzo di neve nel bel mezzo di Manhattan? "Vengo a prenderti alle 6."
"Okay, a dopo tesoro!" disse prima di riagganciare, senza darmi il tempo di salutarla. Scossi il capo divertito. Sapeva essere così infantile a volte, ma matura quando serviva.
Tuttavia, la mia felicità durò poco non appena ricordai perché fossi arrabbiato poco prima. Forse avrei dovuto dirlo a Martina prima che l'avesse scoperto da qualcun altro - qualcuno di nome Francisco Stoessel - ma non potevo farlo. Probabilmente mi avrebbe odiato e non avrebbe più voluto vedermi.
Sbuffando e scalciando le lenzuola, mi alzai dal letto.
Guardando fuori dalla finestra vidi i ragazzi giocare a basket. Sebbene il tempo non fosse dei migliori, nessuno ci avrebbe impedito di giocare una bella partita. Non avevamo molto altro da fare. Era già passata una settimana dalla festa di Natale in cui incontrai i genitori di Martina - tutto sommato non era andata poi così male - avevamo già festeggiato l'anno nuovo e tutta quella roba.
Martina era tornata a scuola ed io alla mia solita vita.
Sospirando, decisi di giocare con i ragazzi e distogliermi così dai vari pensieri per un po' - ovvero qualcosa di cui avevo disperatamente bisogno che mi avrebbe assicurato che io Martina eravamo ancora insieme. Dopo quella sera, avevo il cattivo presentimento che non avrebbe più fatto niente con me. Il solo pensiero mi fece rabbrividire.
M'infilai una felpa sopra alla maglietta, coprendomi alla bene e meglio il collo. Il freddo non era un problema per me, ma non ero un supereroe immune a tutta quella neve.
Non appena fui fuori dalla stanza, sentii il suono metallico della macchina fotografica di Candelaria. Non sapevo se essere felice del fatto che la stesse usando così tanto o infastidito perché non aveva smesso un solo istante di fare foto dal momento in cui le diedi quel regalo. Ciò la rendeva, però, più insopportabile.
A volte ero convinto di essere un buon fratello. Quella dannata macchina fotografica era costata un sacco, ma se non altro l'avevo resa felice - tanto che mi aveva abbracciato e baciato le guance per almeno un'ora, giusto per dimostrarmi quanto mi volesse bene.
In quel momento ero davanti al frigorifero, cercando di scegliere tra una Gatorade e una Coca cola per assumere un po' di energia prima di uscire, quando mia sorella irruppe in cucina, con la fotocamera puntata contro il mio viso.
"Fammi un sorriso, Jorge." Imitò un fotografo professionista, pigiando il bottone di scatto, in modo da catturare più volte la mia espressione, ottenendo però di tutto tranne che un sorriso. Era stato carino il primo giorno, ma ora diventava frustrante.
"Vai via, mocciosa. Sei fastidiosa," borbottai, agitandole la mano davanti al viso. Sembrava uno di quei fottuti paparazzi, e mi ricordava quel cinese che aveva scattato foto a Martina e me sulla strada la notte che le dissi di amarla per la prima volta.
"Oh, sì. Quest'espressione arrabbiata e sexy è perfetta per la foto," disse, come se non mi avesse ascoltato
"Devo mandarle a Martina," mormorò tra sé e sé. "Un po' più a destra, fratello."
"Candelaria Blanco, se non abbassi quella macchina fotografica, andrò a rivenderla," sbottai con tono omicida. Sapevo che ciò l'avrebbe spaventata.
"Accidenti, spero che non diventerai famoso, sei irritante quanto una nonnina." Sbuffò, roteando gli occhi ed abbassando la macchina.
"Comunque sia, mocciosa, lasciami in pace." La sorpassai, aprendola bottiglia blu della Gatorade.
Candelaria strinse le labbra. La chiamavo in quel modo quand'era più piccola e ora avevo riesumato quella vecchia tradizione, sebbene sapevo che lo detestasse.
"Quale diavolo è il tuo problema? Gridò infine, seguendomi. "Ti stai comportando così da tutta la settimana."
Sbuffai. Sapevo di essere stato fottutamente scontroso, ma ero al limite. Avevo paura come la prima volta che ammisi a me stesso che mi piaceva Martina, mi piaceva perdavvero. E ora che mancavano appena cinque ore prima di affrontare i demoni del mio passato e, probabilmente perdere così la ragazza che amavo, essere carino e simpatico non era esattamente la mia priorità.
"Non c'è nulla che non vada," mormorai, cercando ivano di sembrare gentile. "Sto uscendo." Candelaria sospirò, lanciandomi un'occhiataccia.
"Sto bene," la rassicurai, prima di chiudermi la porta alle spalle. Non appena lasciai l'edificio, avvertii dei forti brividi. Dovevano esserci due gradi sotto lo zero. Percorsi la via che potava al parco, dove potei sentire le grida dei miei amici e la palla rimbalzare sul pavimento in cemento.
"Amico, pensavo che non ti saresti fatto vedere," disse Facundo non appena mi vide. I ragazzi mi salutarono con un cenno del capo e Xabiani mi diede una pacca sulla spalla. Quando giocavamo non ci curavamo di null'altro.
"Ero impegnato." Mi strinsi nelle spalle, non mi andava di dare spiegazioni, men che meno a Facundo. Certo, era mio amico, ma Xabiani ed io avevamo ci eravamo accordati di mantenere la cosa tra noi. Il resto dei ragazzi non avrebbe capito, e Xabiani era come mio fratello.
Tuttavia, fu difficile concentrarsi sul gioco, ero più distratto che mai. Le parole di Francisco continuavano a ripetersi nella mia mente come un disco rotto.
"Non preoccuparti se ai miei genitori non piacerai. Una volta che Martina scoprirà cos'hai fatto due anni fa, non dovrai più avere a che fare con loro."
"Che succede, amico?" mi punzecchiò Xabiani quando mancai un passaggio. Scossi il capo, il sudore che mi si era formato sulla fronte non era per via dell'esercizio fisico, ma perché avvertivo una fastidiosa stretta al centro dello stomaco.
Quando Francisco venne verso di me alla festa di Natale - dopo che Tini lo aveva beccato con Mercedes - non impiegai molto a capire che stessero tramando qualcosa contro di noi. Ovviamente ciò non poteva abbattermi, ma quando l'avevo indicato, mi derise.
"Sono suo fratello, di carne e di sangue. Tu sei solo il ragazzo di cui lei crede di essere innamorata, ma non durerà molto. Ti odierà quando capirà come sei davvero. Forse potrai prendere in giro lei, ma non me e non ti permetterò di trascinare mia sorella nella merda con te.
Dovetti fare del mio meglio per evitare di scoppiare. Il sangue mi ribolliva nelle vene e chiusi le mani a pugno, mentre lui si godeva tutto questo.
"Abbiamo un accordo."
Gli ricordai, ma non gli importava. Era determinato ad assicurarsi che la storia tra me e Martina finisse quella notte. Perché quello era il giorno che lui credeva adatto, spifferando a Martina del ballo invernale, per la quale era così eccitata. A volte mi domadando se gli interessava di qualcun altro oltre che a sé stesso. Se invece fosse stato il contrario, non lo dimostrava.

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