63.PERDONO E AMORE

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Jorge Pov.
Sono passate due settimane dall'ultima volta in cui avevo visto Martina. Ogni volta che la porta della mia stanza d'ospedale si apriva, speravo con tutto me stesso che fosse lei. Ed ogni volta rimanevo deluso. Chiunque entrasse cercava di essere cauto, di non menzionarla, di distrarmi parlando d'altro, come se fossi fragile. La verità era che difficilmente avevo bisogno di distrarmi. Dormivo per la maggior parte del tempo, se non per le medicine, dormivo per noia.
L'unica cosa positiva che era successa nelle ultime due settimane era che le mie ferite si stavano rimarginando e potevo usare il bagno da solo, alzarmi, fare ciò che gli esseri umani normali erano in grado di fare. Ero autorizzato a fare piccole passeggiate solo lungo il corridoio adiacente alla mia stanza, il che fu piuttosto deprimente all'inizio.
Avevo perso peso e muscoli ad una velocità spaventosa, nonostante mangiassi regolarmente. Mia madre, dopo il lavoro, mi portava vestiti comodi ogni giorno, per cui non fui costretto ad indossare quei ridicoli camici da ospedale. Candelaria veniva a trovarmi ogni pomeriggio dopo scuola, talvolta portava anche Daniel con sé. Facevano i compiti mentre io guardavo la TV o mentre chiacchieravamo.
Xabiani e Alba passavano in mattinata, Alba sembrò molto incinta e pensai quasi che partorisse nella mia stanza. Il bambino, tuttavia, non sarebbe nato prima di agosto. Per quanto tentassero di riempirmi le giornate, intrattenendomi, mi ritrovai a sbottare contro di loro o ad essere lunatico, fino a che non alzavano gli occhi al cielo e si allontanavano. Dopodiché mi scusavo e mi guardavano con compassione, esattamente come si guardano le persone quando sai che sono arrabbiate, ma non vuoi confessare il motivo per cui lo sei, altrimenti rischieresti di scoppiare a piangere. Non che io l'avrei fatto.
Ecco perché fui preso alla sprovvista quando Sabato mi svegliai nel cuore della notte, trovando una ragazza addormentata sul bordo nel mio letto in una posizione assurda. Avevo sentito dei respiri, per cui mi ero svegliato, stando attento a non aprire gli occhi nel caso in cui si trattasse di quell'infermiera che, durante la notte, mi guardava con occhi ammiccanti mentre mi accarezzava le braccia e l'addome - quand'ero sicuro che non fosse necessario.
Dopo un po' di tempo il respiro non si dissolse, ma non percepii alcun tocco inappropriato. Aprii lentamente un'occhio. La stanza era illuminata dalla luce lunare, la porta era chiusa. Una testa bionda era poggiata sulle braccia incrociate accanto a me, il viso era rivolto altrove. Mi strofinai gli occhi con le dita e mi pizzicai le braccia giusto per assicurarmi che non stessi sognando. Allungai il braccio verso Martina e le scossi lievemente la spalla. Doveva essere davvero scomoda in quella posizione. Si mosse appena, così la chiamai dolcemente.
"Martina."
Finalmente sollevò il capo e guardò verso di me. Arrossì quando scoprì che la stavo fissando. Nonostante la camera fosse avvolta dall'oscurità, riuscii a vedere le sue gote arrossate. Abbandonò quasi subito il senso di sonnolenza e si mise in posizione eretta, sistemandosi i capelli con un veloce movimento del capo. I suoi capelli sembravano argento, baciati dal raggio lunare.
Sapendo che non avrebbe proferito parola, presi l'iniziativa. "Che cosa ci fai qui a-" controllai l'ora sull'imbarazzante orologio da polso di Daniel, dato che il mio era stato distrutto dopo l'incidente - "mezzanotte? E perché indossi quel vestito?" era avvolta da un tessuto soffice e svolazzante.
"Il ballo," disse, la sua voce era ancora roca per via del sonno. Si schiarì la voce. "C'era il ballo questa sera."
"Oh, giusto. L'avevo dimenticato." Distolsi lo sguardo dal suo. Aveva un'aria sexy con quei capelli scombinati, le spalline del vestito erano scivolate lungo le braccia ed il viso accaldato. Martina si alzò e si sistemò il vestito, abbassandolo. La gonna s'era arricciata. "Io," iniziò, guardandosi attorno con gli occhi sbarrati. "Non so perché sono venuta."
Il mio cuore perse un battito. Avevo stupidamente pensato che fosse venuta qui con l'intenzione di perdonarmi e darmi un'altra possibilità. Ma perché l'avrebbe fatto, dopo che non si era fatta viva per due settimane? "Puoi restare?" domandai. "Per favore."
Abbassò lo sguardo sulle sue mani. "Perché hai lasciato il ballo?" ero sicuro che ci fosse un after party o qualcosa a cui avrebbe dovuto partecipare. I suoi occhi marroni incrociarono i miei. "Mi stavo annoiando. Non era tutta questa gran cosa." Si strinse nelle spalle.
"E quindi sei venuta qui?" Il tono sorpreso sembrò quasi volerla rimproverare per essersi presentata qui all'improvviso,senza parlare del fatto che fosse già notte inoltrata. "Voglio dire, qualcuno sa che sei qui?"
"Ho detto a Lodovica che me ne stavo andando. Era con Xabiani. Ma non le ho detto che sarei venuta qui. E' stata una decisione spontanea," disse Martina. "Per cui no, non lo sa nessuno."
Annuii. "Vuoi parlare?"
"Sì, credo di sì. Non so da dove iniziare però," ammise. Eccoci di nuovo. Avrei preferito non aprir bocca, considerando le innumerevoli volte in cui avevo rovinato tutto con le mie parole. Guardai oltre la finestra. Il cielo era privo di nuvole, per cui riuscii a vedere la luna in quella distesa blu. Non c'erano stelle a New York, ma le luci dei grattacieli erano ben visibili in lontananza.
"Vuoi uscire?" non ebbi il coraggio di vedere la reazione di Martina dopo la mia proposta. Perché ci stai pensando, idiota? Ovvio che non vuole uscire con te.
"Hai il permesso di lasciare l'ospedale?" domandò esitante. La guardai. Si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore, distraendomi un'altra volta.
"Ho bisogno di camminare ed il posto più lontano in cui sono stato è il giardinetto dietro all'ospedale. Ho bisogno di uscire da qui. Nessuno lo noterà." Sembrava che avessi finalmente chiarito ogni suo dubbio.
Martina iniziò ad infilarsi le scarpe, le quali erano adagiate sul pavimento. "Sei sicuro? Non voglio farti sentire peggio." Cercai di nascondere un sorriso. Si stava preoccupando per me e ciò mi fece intendere che tutta la speranza non era perduta.

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