58.FUORI DALLE GARE

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Martina Pov.
Ero stata ammessa a Stanford. M'impegnai a leggere attentamente quella lettera, senza gettare i fogli per tutta la stanza, ovvero ciò che avrei realmente voluto fare. Mi ero alzata da un letto vuoto. Volendo dimostrare il contrario, controllai il bagno, dietro le tende e persino sotto il letto. Jorge non era da nessuna parte. L'unica cosa che mi dimostra che la scorsa notte non era stata un sogno, era il fatto che le finestre fossero socchiuse, permettendo alla luce di entrare. Mi lasciai sfuggire un gemito.
Se n'era andato, se n'era andato senza nemmeno salutare. Sapevo che non era pronto ad affrontare la luce del giorno, perché i segreti erano più facili da mantenere di notte, quando l'oscurità nascondeva ogni cosa. Jorge non era pronto ad affrontare la conversazione - l'unica in cui mi spiegò tutto, incluse le bugie e tutto ciò che mi aveva tenuto nascosto, del perché fingeva di volermi allontanare, il motivo per cui odiava così tanto sé stesso, ma nulla cambiò al riguardo. Non voleva affrontare il fatto che avevamo dei problemi e questo era tipico di lui.
Scappare dai problemi non poteva far altro che portarti più lontano.
Lanciai un cuscino contro la porta, lasciandomi sfuggire un grido. Era presto, per cui la casa era silenziosa. Nemmeno mia madre era già sveglia. Mi sedetti sul bordo del letto e controllai le lenzuola scombiDiego, nel caso in cui Jorge avesse lasciato un biglietto o qualcosa del genere.
Nada.
Poco dopo iniziai ad arrabbiarmi. Il mio respiro divenne irregolare e strinsi tra le mani il piumone. Perché aveva fatto una cosa del genere? Perché tutto doveva essere così complicato? Perché non poteva compiangere il lutto ed il dolore come una persona normale? Perché doveva cacciarsi nei guai e mettere a repentaglio la nostra relazione?
E, cosa più importante, perché non lasciava che l'aiutassi? Non avevo realizzato di aver le lacrime agli occhi fino a quando non vidi delle gocce bluastre contro la federa del cuscino che stavo stringendo - o meglio, stritolando - tra le mani. Avevo davvero bisogno di smetterla con i pianti. Non ne valeva la pena. Non mi avrebbe portato da nessuna parte.

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Il resto della giornata lo passai sommersa dai compiti, in famiglia e tra messaggi insensati. Ogni volta che digitavo messaggi da inviare a Jorge, li cancellavo. Ma perché dovevo sempre essere io a corrergli dietro come un cagnolino? Non avrei volute essere ancora quella debole. Avrei voluto vivere senza la presenza di Jorge nella mia vita e, nel caso in cui non ci fossi riuscita, avrei imparato a farlo.
I giorni passarono e non successe nulla. La mia routine si ripeteva come al solito: alzarsi, andare a scuola (il che includeva ignorare Diego), andare a prendere Tommy agli allenamenti (Jorge non si fece mai vivo, e durante i giorni in cui accompagnavo Daniel lui non c'era), studiare con Lodovica, cenare, andare a letto, rigirarmici per ore, e finalmente dormire. Mia madre era preoccupata perché avevo smesso di pianificare la mia giornata dopo la scuola e passavo il mio tempo a fare i compiti.
Tuttavia, quello non lo menzionò. Credevo avesse paura di riaffrontare l'argomento Ray, una cosa che nessuna delle due era pronto a fare. Lodovica, ovviamente, lo soprannominò il disastroso weekend. E fu così che decisi di chiamarlo anche io - vi si addiceva perfettamente. Purtroppo mia madre non colse la mia spiegazione del taglio sulla mascella. Apparentemente sembrava incredibile che fosse successo mentre stavo cucinando perché "non puoi cucinare quella merda." Quelle furono le sue esatte, gentili parole.
Dopotutto, Xabiani le aveva detto che Jorge era stato evasivo e sembrava essere arrabbiato sin da sabato, quando Lodovica capì che stave succendo qualcosa tra di noi. Ho dovuto raccontarle tutto. La sua reazione fu pari ad una sfilza di lunghe e colorite parole contro di me. La cosa divertente fu che io dovetti consolarla.
Dall'altro lato, era tutto ciò che avevo sentito riguardo a Jorge: ovvero ciò che Xabiani aveva detto a Lodovica. Non era molto, praticamente frammenti di rabbia ed odio verso di sé. Non ero sicura che mi stesse raccontando tutto. Sospettai che non fosse così, ma avevo paura di chiedere. Volevo davvero sapere se ci fosse dell'altro?
Dormire era diventato difficile. Ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo quell'uomo e i suoi denti ed il suo coltello davanti a me, il suo fiato sul viso, le sue mani sul mio corpo. Strinsi il cuscino sul quale aveva dormito Jorge l'ultima notte ed indossai la sua maglietta, ma entrambi avevano perso il suo profumo con il passare dei giorni. Da quel giorno dormii con una piccola luce nella stanza, non l'avrei mai ammesso davanti a nessuno perché mi faceva sembrare una bambina di due anni che aveva paura degli zombie.

B.R.O.N.X.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora