Jorge Pov.
"Hey, papà."
Mi sedetti sull'erba di fronte alla lapide. Il cimitero era deserto, fatta eccezione per l'addetto, il quale era impegnato a rifilare alcuni cespugli. Non ha detto nulla riguardo alla busta marrone che stavo portando. Credevo ne avesse già viste parecchie, le quali probabilmente contenevano calmanti o farmaci del genere. Svitai il tappo della bottiglia che mi ero portato e ne bevvi un sorso. Il Jack Daniels sembrava troppo drammatico e stereotipato e non avevo bisogno di aggiungere nulla del genere nella mia vita. Era già abbastanza simile ad una fottuta soap opera.
Ad essere sinceri, non sapevo realmente che cosa ci facessi lì, seduto davanti alla sua tomba di sabato mattina. Era troppo presto per me per essere già sveglio, ma dal momento in cui non avevo chiuso occhio tutta la notte, ho realizzato che non facesse differenza alzarsi e fare qualcosa di parzialmente utile. Inoltre, così facendo non avrei dovuto affrontare gli sguardi di disapprovazione da parte di mia madre o di Cande, sebbene sapessi che avrei dovuto farlo prima o poi. La lapide di mio padre sembrava la stessa di un mese fa, quando lo seppellimmo. Credevo che i vermi spuntassero dal terreno e che le lettere incise sulla pietra si rovinassero a causa del tempo. Certo, l'unica differenza era l'erba che era cresciuta ed un po' di terra aveva sporcato la pietra.
Mi ero ripromesso che non avrei iniziato a parlare con i resti di mio padre come fanno le persone in quei film malinconici per diverse ragioni. Una di quelle era che non avrei voluto assomigliare ad uno psicopatico. Avrei voluto conservare la mia sanità mentale. Un'altra ragione era perché mio padre era morto, e di conseguenza non avrebbe potuto sentirmi. Chiara e limpida come l'idea che mi era piombata in testa durante il tragitto da un'ora e mezza per arrivare qui, iniziavo a dubitare del mio scetticismo.
Avrebbe potuto sentirmi? Da dove diavolo era? Beh, speravo non fosse realmente all'inferno. Mi domandavo se la metà delle persone che credevano nel paradiso, credevano anche nell'esitenza del suo opposto. Nel caso in cui esistessero, sapevo dove sarei andato. Qualunque fosse il motivo, avevo salutato nuovamente mio padre e mi aspettavo che mi rispondesse. Se avesse potuto parlarmi, probabilmente non avrei voluto ascoltarlo. Forse è per questo che era finita così, perché una parte del mio cervello aveva bisogno di sapere che non ci sarebbero state possibilità di venir rimproverato. Mio padre non sarebbe tornato per darmi uno scappellotto sulla testa, sebbene l'avessi meritato.
"Ho fatto un gran cazzata." Mi sorpresi a dirlo ad alta voce. Mi guardai attorno per verificare se qualcuno mi avesse sentito. Il campo era deserto, non c'era nemmeno più l'addetto. Non sapevo cosa mi avesse incitato, ma continuai. "Si è rovinato tutto, in modo irreparabile. Ed è colpa mia e sapevo sin dall'inizio che tutto questo sarebbe successo. Non so cosa stavo cercando di fare," ammisi, e dirlo ad alta voce lo faceva risultare più vero, il che mi fece sentire più abbattuto. Bevvi un altro sorso. "Mi merito tutto quello che è successo, vero?"
Mio padre non rispose, ma potei comunque vederlo mentre inclinava la testa da un lato, deluso. Ingoiai l'amaro della birra. "Mi sto portando dietro tutto questo, lo so. Desidero solo non aver trascinato giù con me anche Martina. Voglio dire, ho sempre saputo che sarei finito con il fare qualcosa che l'avrebbe abbattuta, per cui non dovrei esserne sorpreso. È solo che... sta durando così tanto..." abbassai lo sguardo verso la lapide in attesa di una risposta. Inutile dire che non la ricevetti.
"Non credo che riuscirò ad uscirne. Per tutto questo tempo ho cercato di farmi perdonare da Martina, ma ora, non credo nemmeno di meritarmelo. Mi merito questo. Di essere ferito, abbattuto, di restare solo. È meglio così. È così che sarebbe sempre dovuto essere." Sbattei in modo troppo violento la bottiglia contro il terreno, provocando una crepa nel vetro. Fortunatamente il liquido non fuoriuscì. Affondai il viso tra le ginocchia, mugugnango tra me e me. Non ero solito a commiserarmi - l'odio verso me stesso era un'altra cosa - ma mi concesi qualche minuto per ribadire quanto facesse schifo la mia vita. Martina era l'unica cosa positiva e l'avevo allontanata. Il pensiero di lei mi fece offuscare la vista. Non mi era mai piaciuto piangere. Difficilmente sentivo il bisogno di farlo, ma quando succedeva, cercavo di reprimerlo il più possibile, che facesse bene oppure no.
Questa volta serrai gli occhi così fermamente da impedire anche alla più piccola lacirma di uscire. Ma l'immagine di lei in lacrime quando le dissi tutte quelle cose, mi spezzò il cuore fino a farmi sentire come se mi avessero colpito al centro del petto senza usare l'anestesia. Era già successo diverse volte dall'ultima notte e non erano trascorse nemmeno 24 ore. Oltre al fatto che mi sentivo il più grande stronzo di tutta New York, o forse di tutto lo stato, sapevo che cos'avrei dovuto fare. Non avrei potuto continuare a fingere di avere una normale relazione con lei come avevo fatto nelle ultime settimane. Le avevo tenuto nascosto troppe cose e l'avevo messa in pericolo.
Dal momento in cui non ne potevo più, ho pensato che sarebbe stato meglio dare un taglio netto e risparmiarle la situazione che si sovrapponeva tra gioco e morte. Solo che tutte quelle stronzate dette per porre un taglio netto, non erano altro che grandi STRONZATE. Non c'era nulla di pulito nello spezzare il cuore a qualcuno e vedere ogni singola cellula presente in quel corpo disintegrarsi a causa tua. In cima a tutto ciò c'era il peso di averle spezzato il cuore, mi ero fottuto. Se doveva esserci qualcosa che ne fosse valsa la pena, ora se n'era andato per sempre. "So che mi odia adesso. E nel caso in cui non lo facesse, dovrebbe," dissi a mio padre.
Man mano che il tempo passava, iniziai a credere che c'era la remota possibilità che mi stesse ascoltando. Avrei voluto che mi mandasse un segno, come una folata di vento o il rombo di un tuono, in modo che non ne uscissi pazzo. Letteralmente. "Avevo la ragazza migliore del mondo e l'ho lasciata andare. L'ho fatta allontanare. Xabiani sarà incazzato. E Candelaria impazzirà quando lo verrà a sapere. E mamma scuoterà il capo e si chiederà cos'ha sbagliato. Credo si senta in colpa per come stanno andando le cose. Vorrei che tu fossi qui per convincerla che non è colpa sua." La mia voce si spezzò e dovetti schiarirmi la gola. Non riuscii a parlare per un minuto, perché dovetti combattere contro le lacrime. Alzai lo sguardo verso il cielo grigio e sbattei le palpebre, desiderando che iniziasse a piovere. Forse l'acqua avrebbe spazzato via quel sentimento fastidioso che mi attanagliava ogni pensiero cosciente e non solo.
Delle nuvole sovrastavano perennemente la mia testa, portando con sé il peso della pioggia e dei lampi. Riuscii quasi a sentirle riversarsi su di me, impedendomi di respirare con regolarità. Ma non rilasciarono alcuna tempesta perché non meritavo di sentirmi meglio, meritavo di soffrire ed essere ferito per ciò che avevo fatto. La bottiglia s'era svuotata ancor prima che me ne accorgessi e mi maledii nel profondo, filosofici pensieri del cazzo annegati nell'alcool. Nonostante la birra mi facesse poco effetto. Mi alzai dal prato e scossi i jeans dai fili d'erba e dal terriccio. Abbassai un'ultima volta lo sguardo sulla lapide di mio padre. "Mi dispiace di averti deluso, papà. Avrei voluto essere il figlio che ti meritavi di avere."
Martina Pov.
Crollarono. I pezzi, intendo. Non solo una o due volte, ma molteplici, dolorose volte. Hai presente come ci si sente ad avere Edward mani di forbice dentro al tuo petto, mentre ti ferisce i polmoni, spingendoli contro le costole, stringendo e lacerando il tuo cuore? Se non lo sai, aspetta solo di avere il cuore infranto. Lodovica mi accompagnò a casa ed insistette per passare la notte con me. Ha detto che avevo bisogno di supporto morale e che non si fidava a lasciarmi da sola nel caso in cui commettessi qualche pazzia, come bruciarmi i capelli o saltar giù dalla finestra. Il che mi fece quasi ridere. Quasi. Non avevo idea a che ora mi fossi addormentata o cos'avesse detto Lodovica ai miei genitori dopo avermi vista rientrare con gli occhi sbarrati, bruciando il coprifuoco. Sembravano aver chiuso un occhio riguardo a quello, deve avergli detto che la persona più importante della mia vita mi aveva completamente calpestato.
"So che probabilmente non vorrai parlare di questo, ma nel caso in cui volessi farlo, sono qui, okay?" disse Lodovica, sdraiandosi nel letto accanto a me. Era grande abbastanza per impedire ai nostri corpi di sfiorarsi, ma mi ritrovai a desiderare che il corpo di Jorge fosse premuto contro al mio mentre dormivo. Tremai. "Grazie," dissi a bassa voce. Era stata la prima cosa che le avevo detto da quando siamo usciti dalla sua macchina, dopo aver trascorso il nostro tempo lontano da quel triste deserto, lasciandoci alle spalle la confusione dei motori ed il suono della musica. Non ero stata capace di proferire una sola parola senza scoppiare a piangere. Seriamente, ero sempre stata paragonabile ad una bambina piagnucolante, ma questo era un discorso a parte.
Avrei dovuto essere fradicia, ma la mia gola continuava a bruciare e le mie lacrime a scendere. Che schifo. "Sembra tutto così orribile e grigio al momento, ma dopo ogni tempesta c'è l'arcobaleno." Lodovica mi sorrise. Tirai su con il naso. Era così tipico di lei dire queste cose, cose che una madre direbbe alla propria bambina. "Non credo ci saranno arcobaleni dopo questo." Smisi di guardarla per spostare lo sguardo contro il soffitto. Non mi ero preoccupata di cambiarmi i vestiti e sentivo freddo. Mi avvolsi con il piumone. "Forse questo era qualcosa che doveva succedere, fa parte del destino, capisci? Forse poi ti troverai la strada spianata." Apprezzai il fatto che volesse aiutarmi, ma avrei preferito che restasse in silenzio e che la smettesse di dire sciocchezze che non mi avrebbero fatto sentire meglio. Se il destino esisteva davvero, mi odiava. Avrei voluto addormentarmi per poi non risvegliarmi più. Alla fine, è quel che ho fatto.
STAI LEGGENDO
B.R.O.N.X.
FanfictionTralasciando il fatto che tutti e due vivono a New York, Jorge e Martina non hanno niente in comune. Mentre Jorge fa l'impossibile per sopravvivere, Martina ha qualsiasi cosa ogni ragazza possa volere .O per lo meno lei pensa di avere tutto. Cosa s...