47.ANIME PERSE

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Martina Pov.
Mi portai le ginocchia al petto e fissai il vuoto. Se avessi iniziato a camminare avanti e indietro, probabilmente avrei assomigliato a quelle strane persone che, nei film, indossano camicie di forza e vengono rinchiuse in manicomio.
Tuttavia, trovai un senso di calma quando iniziai ad oscillare su me stessa. In seguito ai miei movimenti, era come se anche i pensieri si movimentassero,evitandomi così di focalizzare il tutto sul momento in cui diedi del mostro al mio ragazzo.
Giuro che avrei venduto la mia anima se avessi potuto tornare indietro e rimangiarmi quelle parole, impedendomi addirittura di aprir bocca. Perché nell'istante in cui le pronunciai, sapevo che avrei combinato un disastro. Alla grande.
E la parte migliore? Non lo pensavo nemmeno. Non credevo alle mie parole, ma le dissi ugualmente. E avevo ferito Jorge - e ci vuole parecchio per ferire Jorge - e ciò mi ferì maggiormente, tutto aveva un senso.
A conciliare il tutto, le parole di Alvaro e Pattie mi fluttuavano ancora nella mente. Dopo aver smesso di piangere, mi asciugai le lacrime con un fazzoletto e mi allontanai dalla recinzione dove Jorge mi aveva lasciato, dirigendomi poi verso la sua famiglia. Era sparito, non lo vidi da nessuna parte.
Mi domandavo se stesse piangendo anche lui e cancellai all'istante quell'immagine dalla mente, perché l'unica volta che l'avevo visto piangere - ovvero il giorno in cui Alvaro era tornato - mi aveva spezzato il cuore.Tremavo dal nervoso quando mi ritrovai accanto a Alvaro.
Che avesse notato qualcosa di strano? Sapeva già che tra Jorge e me c'era qualcosa che non andava? Una serie di domande m'invasero la mente. Stavamo ancora insieme? Le sue ultime parole significavano che stava definitivamenterompendo con me? Pregai Dio che non fosse così.
"Martina, come stai?"Alvaro mi salutò con un mezzo abbraccio. Okay, quindi non sospettava che ci fosse qualcosa che non andava. ConverAlmo per un po' anche con Candelaria - la quale mi scrutò il viso e cercai di nascondere il tutto con un sorriso.
"Dov'è mio fratello?" domandò lei e il senso di protezione nella sua voce mi fece sentire orribile. Beh,ancor più orribile. Significava che lei già sapeva. Jorge gliel'aveva detto?Dubitai di quello. Ma Candelaria era abbastanza intelligente da scoprirlo da sola.
Quando la pressione iniziò a farsi sentire, trovai una scusa per andarmene. "Ora devo tornare dalla mia famiglia, ma volevo salutarti nel caso in cui non ti vedessi prima che tu parta. Jorge mi ha detto che partirai per l'Afghanistan martedì," dissi, cercando di sussultare mentre pronunciavo il suo nome, ma la tristezza coinvolse comunque le mie parole.
Avrei tanto voluto che Alvaro potesse restare, cosicché lui e la sua famiglia non fossero stati costretti ad attraversare quel periodo d'incertezza, senza sapere se il giorno dopo sarebbero stati ancora insieme. Alvaro mi abbracciò forte - come un padre avrebbe fatto - ed avvertii gli angoli degli occhi pizzicare, perché in poco tempo mi avevano accettato come se facessi parte della famiglia.
Prima di lasciarmi andare, mi strinse il braccio e pronunciò quelle parole che tutt'ora erano incise nella mia mente. "Non so cosa tu abbia fatto a mio figlio, ma, di qualunque cosa si tratti, continua a farla. Non l'ho mai visto così felice in vita mia e lo dobbiamo a te, Martina. Lo hai cambiato in meglio."
Se solo lui sapesse il motivo per il quale non era più felice...
Una lacrima mi rigò il viso e l'asciugai. Dovevo smetterla di piangere come una bambina ed iniziare a reagire. Cambiai posizione sul letto e mi sdraiai, fissando il soffitto. Non era solo colpa mia. Se Jorge non avesse fatto tutto ciò a Michael, non saremmo in questa situazione ora.
Così mi ero comportata come una stronza, ma non potevo voltare le spalle a mio fratello - di carne e di sangue come aveva detto Francisco - e tornare da Jorge come se niente fosse successo. Non era così e in quel momento non lo sarebbe mai stato. Un singhiozzo ruppe il mio respiro, facendomi rabbrividire.
Ero consapevole del fatto che stavo addossando tutta la colpa a Jorge solo per cercare di tramutare il dolore in rabbia. Era più cercare di odiarlo quando credevo fosse la cosa giusta da fare. Il problema: sapevo che non lo era.
Solo Dio lo sapeva - beh, almeno tanto quanto ne sapeva Jorge - perché lui era presente alla gara quella sera, tutto quello che gli stava succedendo l'aveva incasinato con quelle persone, e ne avrebbe pagato le conseguenze se non avesse eseguito gli ordini di Anthony.
Avrei dovuto dargli l'opportunità di spiegare, dissi tra me e me, come se in quel momento avesse potuto fare la differenza.
Mi coprii il viso con le mani e presi un respiro profondo, pensando che potesse aiutarmi a mantenere alla larga un attacco d'ansia. Ma non servì. Questa volta, nel momento in cui dei pallini rossi e blu iniziarono a formarsi dietro alle palpebre per la troppa pressione con le quali i miei polsi ci stavano premendo contro, mi ritornarono alla mente le parole di Pattie.
Dopo aver salutato Alvaro, non volevo nient'altro se non prendere la mia macchina ed andarmene. O anche correre verso casa mia, per quanto faticoso - e, ammettiamolo, impossibile per il mio basso livello di resistenza - potesse essere. Tuttavia, il destino sembrava aver riservato altri piani per me, perché Pattie mi aveva notata quando invece cercai di nascondermi tra la folla. Smise di parlare con le altre mamme e corse verso di me.
"Martina," mi chiamò e in un attimo fu accanto a me. "Ciao Pattie," le dissi, nel modo più entusiasta che potei - il quale, ovviamente, non era nemmeno troppo. Non avevo fatto altro che sfoggiare sorrisi finti, per cuimi sentii come se le mie labbra non potessero più curvarsi verso l'alto.
"Stai bene? Sei pallida." Posò una mano sul mio braccio, dedicandomi uno sguardo materno, ma al tempo stesso curioso.
"Non stavo bene ieri, per cui credo di non essermi ancora ripresa. Ma volevo venire a vedere Tommy perché so quant'è importante per lui e anche per Daniel..." iniziai a vagheggiare, ma sapevo che Pattie mi aveva letto dentro, per cui mi fermò.
"Credevo avesse qualcosa a che fare con Jorge, visto che se n'è andato," disse ed i suoi grandi occhi blu mi scrutarono.
"Se n'è andato?" sussurrai. Perché non avrebbe dovuto, idiota? Probabilmente manterrà una distanza di cento metri da te.
Pattie annuì tristemente e mi abbracciò. "Cosa sta succedendo tra voi due?" Non fui in grado di risponderle, avevo paura che la mia voce si spezzasse.
"Senti, tesoro," disse Pattie, comprendendo il mio rifiuto di parlare. "Conosco mio figlio come il palmo della mia mano. So che quando è agitato, so quand'è arrabbiato e anche quando fuma e beve. E si comporta in modo strano da quand'è tornato dal ballo venerdì scorso. So perfettamente che, anche se ci provassi, non mi direbbe niente, ecco perché lo sto chiedendo a te, Martina."
Mi si formò un groppo in gola quando notai l'espressione di Pattie. Ma come avrei fatto a dirle tutto senza nominare Michael? Ovviamente non potevo. "Abbiamo avuto una discussione, tutto qui," la rassicurai, sebbene dubitassi che il mio tono di voce risultasse convincente.
Pattie insipirò ed espirò profondamente prima di rispondere. "Non so cos'abbia fatto, ma so che probabilmente è colpa sua." Si lasciò persino sfuggire una risata, come se fosse stata sicuramente colpa sua. Come se fosse sempre colpa sua. "Jorge è lunatico e a volte non da peso alle parole che dice. So che non è un santo."
Mi domandai se fosse davvero a conoscenza che non era un santo, se sapesse le cose che ha fatto. Ma nemmeno io le conoscevo. Probabilmente ne conoscevo solo la metà. Ecco un'altra ragione per cui mi ero arrabbiata.
"Ma aspetto da due anni di vederlo fidarsi di una ragazza, a tal punto da innamorarsi di lei. Sin dalla prima volta che lo vidi uscire con qualcuna, non l'avevo mai visto con la stessa ragazza per più di due volte. Aveva paura di far dipendere la sua vita da qualcun altro. Ed è quello che tu hai con lui, gli hai permesso di aprirsi e dimenticare i suoi problemi di fiducia. È sempre stato molto insicuro, credici o no."
Era difficile credere che un ragazzo come Jorge potesse avere qualche insicurezza. Per l'amor di Dio, era perfetto! Per poco non ridacchiai. Non importava quanto fossi arrabbiata per Jorge, non avrei mai potuto negare che fosse la quintessenza della perfezione - ai miei occhi almeno. Ma ero certa che lui non credeva lo stesso di sé.
Fatta eccezione per la dolcezza che aveva mostrato, era un ragazzino nel profondo. Ecco perché nutriva così tanto odio verso Diego, sebbene non si fossero scambiati più di tre parole. Perché s'ingelosiva facilmente. Perché era cosìprotettivo. Proteggermi era un modo per proteggere sé stesso.
Sentii nuovamente l'impulso di piangere. Volevo soltanto stare bene, volevo che il senso di vuoto sparisse e che m'impedisse di sentirmi come se qualcuno stesse scavando sempre più profondamente dentro di me.
"Hai fatto in modo che cambiasse le sue vecchie abitudini. Lo hai fatto diventare una persona migliore. E so che lo ami. Quindi, per favore, risolvete la situazione. Lui ha bisogno di te."
No, ero io ad aver bisogno di lui.
Quelle furono le ultime parole di Pattie prima che Daniel comparve e le domandò qualcosa. Gliene fui grata. Volevo andarmene.
Come avrei potuto non perdonare Jorge dopo tutto ciò che mi avevano detto Pattie e Alvaro? Io lo rendevo felice. L'avevo cambiato. Aveva bisogno di me. Era surreale perché mi sentivo come se lui avesse fatto lo stesso con me. Dio, la mia vita era un tale casino.
Dopo la conversazione con Pattie, raggiunsi Francisco e gli chiesi disperatamente di riportarmi a casa. Non volevo più restare fuori, dove chiunque potesse vedermi nuovamente distrutta. Mi sentii come se avessi avuto tutti gli sguardi addosso, mentre mi giudicavano e disprezzavano le mie decisioni. Avevo bisogno di restare da sola e pensare a fondo. Era già pomeriggio inoltrato.
Ora, l'orologio segnava quasi le dieci di sera. Ero rimasta chiusa nella mia stanza per così tanto tempo, ignorando Francisco che insisteva per voler restare con me. Averlo attorno mi avrebbe reso più difficile non pensare a Michael, Jorge e alla mia paura per aver tradito la mia famiglia. Non che restare da sola aiutasse, ma se non altro nessuno mi avrebbe visto conciata in quel modo, mentre imprecavo contro la mia vita.
Poggiai il telefono sul comodino e mi morsi il labbro. Jorge non aveva né chiamato né inviato un messaggio, il che era normale dopo tutto. Ad essere sincera, occupai gli ultimi cinque minuti cercando di comporre un messaggio che potesse riassumere il mio stato d'animo senza però ferirlo ulteriormente o creare più scompenso. Ne avevo abbastanza, grazie tante.
Mi dispiace davvero per ciò che ho detto prima. Spero che tu sai che non intendevo davvero quello che ho detto. Ho solo bisogno di un po' di tempo per pensarci e cercare di capirci qualcosa. Per cui, per favore, dammi un po' di tempo.
Ero combattuta se scrivergli un cuoricino o un 'ti amo', ma sembrava contradditorio e ingiusto. Non avrei potuto dire 'so di averti detto che sei un mostro, ma, hey, ti amo ancora,' per quanto vero fosse. Mi sarei comportata da ipocrita. E, per di più, non mi aspettavo che rispondesse.
Dopo poco, appoggiai il telefono sul comodino e lo spensi perché non volevo sapere se avrebbe risposto oppure no, non sentii altro se non qualcuno bussare alla porta. Ero pronta a cacciare Francisco ancora una volta, quando invece vidi il viso di mia madre intrufolarsi nella stanza. Era già in tenuta da notte, con gli occhiali rossi poggiati sul naso e senza trucco.
Delle piccole rughe le contornavano gli occhi e gli angoli della bocca, facendola apparire un po' più vecchia e stanca rispetto al resto del giorno. "Posso entrare?" domandò con uno strano tono dolce. Ciò significava che avremmo parlato e non sapevo se ero pronta a questo oppure no.
"Certo," dissi tentennante, sedendomi contro lo schienale del letto. Mia madre si chiuse la porta alle spalle, sedendosi poi a gambe incrociate accanto a me. Le altre volte risi nel vederla a gambe incrociate, ma non questa volta. Ci fu un minuto di silenzio - e sperai che mia madre non si aspettasse di sentirmi parlare per prima - prima che finalmente mi domandò: "Vuoi parlarne?"

B.R.O.N.X.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora