65.EPILOGO

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Epilogo.♥*
Jorge Pov.
"Okay, ragazzi. Finiamola qua! Potete andare a cambiarvi," gridai, sovrastando il suono delle palle rimbalzanti sul pavimento. I bambini smisero di giocare e corsero verso gli spogliatoi. Afferrai una palla e la lanciai verso il canestro. Feci qualche tiro, ma dovetti strizzare gli occhi per via dell'accecante luce del sole di agosto.
La scuola in cui lavoravo si trovava nel Downtown di Manhattan. Non era proprio ciò che Martina sperava, ma era sempre meglio rispetto a quella che avevo frequentato io quando avevo dieci anni. Allenavo una squadra di dodicenni, tutti i pomeriggi dal lunedì al venerdì e la paga non era così male. Mi permettevano persino di usare l'armadietto accanto all'ufficio per custodire le mie cose. La connessione wifi era spenta durante l'estate, uno schifo, ma se non altro riuscivo a farmi una doccia tutti i giorni dopo l'allenamento. Iniziai ad essere grato per tutto questo, soprattutto dopo aver corso per due ore, gridando ordini a dei ragazzini con la resistenza di un corridore olimpico, con 30 gradi nel cortile di una scuola nel bel mezzo di New York perché la palestra era chiusa per lavori.
Mi feci la doccia dopo che tutti i ragazzi se n'erano andati e mi rivestii, scuotendo il capo in modo da eliminare l'acqua in eccesso tra i miei capelli. Fuori nel parcheggio, ad aspettarmi, c'era il mio nuovo camioncino. Non che si potesse definire tale, dal momento in cui era più vecchio di me, ma l'avevo comprato con il mio primo stipendio e questo mi rendeva in qualche modo fiero. Non appena l'acquistai, ebbi l'intenzione di farlo riverniciare, ma era ancora blu, un colore orribile con una striscia marrone da un lato. Non aveva nulla a che vedere con la mia Mustang arancione e nera, ma questo era stata comprato con soldi puliti, che avevo guadagnato da solo.
Entrai nell'abitacolo ed iniziai a percorrere il lungo tratto che mi avrebbe condotto al Jacobi Medical Center nel Bronx. Avevo un appuntamento con il Dottor Holloway per un controllo sulla mia salute. Considerando che erano già passati tre mesi in cui non avevo avuto problemi ed avevo continuato a prendere i miei farmaci, supposi che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei visto. Mi ero estremamente affezionato a quel dottore, nonostante fosse privo di emozioni e solitamente brutale.
Smettere di fumare era stata senza dubbio la parte più difficile, ma, dopo alcune settimane, il desiderio divenne più facile da gestire ed ora riuscivo a notarne i benefici. Sebbene ci fosse sempre qualcuno che mi fumasse davanti, se solo sapessero quanto facesse bene, avrebbero fatto di tutto per smettere. Al posto della nicotina avevo iniziato a mangiare tonnellate di dolci: liquirizia, caramelle gommose, Skittles, M&M's... praticamente qualsiasi cosa ad alto contenuto di zucchero. Cercavo di compensare andando a correre ogni mattina.
Nel frattempo, Albaeera aveva partorito il suo bambino il giorno prima, per cui avevo preso due piccioni con una fava andando all'ospedale. Accesi la schifosissima radio del camioncino- la quale doveva essere assolutamente sostituita - ed abbassai il finestrino dato che l'aria condizionata era inesistente e stavo morendo dal caldo. Dubitai che ciò potesse essere d'aiuto, considerato il caldo dell'esterno.
Il mio telefono suonò e mi fermai ad un semaforo rosso, approfittandone per leggere il messaggio.
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Un goffo sorriso si diffuse immediatamente sul mio viso. Non vedevo Martina da tre settimane, perché la sua famiglia era andata fino a Hamptons per una vacanza. Avrei voluto visitare quel luogo, ma non ero sicuro che suo padre ne sarebbe stato molto felice. Inoltre, non potevo nemmeno permettermi la benzina e avevo appena comprato il furgoncino. Non vedevo l'ora di vedere la faccia di Martina non appena l'avrebbe visto. Al di là di tutto, sapevo che avevamo bisogno entrambi di passare un po' di tempo in famiglia. Non ero l'unico che l'avrebbe salutata dopo l'estate, e sapevo che sua mamma ne risentiva particolarmente per il fatto che Tini si sarebbe trasferita in California da sola.
Io, invece, ero stato a New York per tutto il tempo. Fatta eccezione per un lungo weekend in cui Mamma, Jazmyn, Jaxon e io avevamo viaggiato fino a Stratford per vedere i miei nonni. Vorrei poter dire che non mi era mancato affatto come posto.
Dopo la più lunga mezz'ora della mia vita, parcheggiai e corsi verso l'ingresso dell'ospedale. La signora alla reception, alquanto annoiata, mi diede indicazioni per arrivare al piano di maternità mentre scoppiettava la sua gomma da masticare rosa. Non sembrava molto igienico per un ospedale.
La camera era inconfondibile. Era rumorosa e piena di gente e riconobbi i genitori di Facundo. Sua madre sembrava quasi riuscir a malapena a smettere di piangere, ma almeno non erano lacrime infelici. Suo padre mi diede una pacca sulla schiena. All'interno della camera c'era il caos. Se fossi stata Alba, avrei urlato fino a quando tutti non fossero usciti.
I miei occhi furono immediatamente attratti dall'unica testa bionda nella stanza, sorrisi come uno stupido, ancora una volta. I suoi capelli sembravano sempre più chiari - a causa del sole, immaginai- indossava un prendisole con una fantasia a margherite e dei sandali. Camminai dietro di lei e le misi le mani sugli occhi. "Indovina chi sono?"
Invece di indovinare, Martina strillò e si voltò, scostando le mie mani lontano dagli occhi. Ero contento di non essere l'unico a sorridere come uno scemo. "Ciao! Mi sei mancato!"
"Hai le lentiggini." Picchiettai la punta del suo naso con un dito.
Martina si coprì le guance e il naso consapevolmente. "Succede quando mi abbronzo."
"Mi piacciono,sei bellisima" dissi, spostando le mani e chinandomi a baciarla.
"Ew. Avevo dimenticato quanto foste dannatamente carini voi due insieme."
Non avevo nemmeno notato che Stephie fosse lì, il che significava che lei e Martina avevano parlato. Non mi sarei mai abituato a tutto ciò. Sembravano almeno essere in grado di stare l'una affianco all'altra, il che era davvero strano.
"Vieni a vedere il bambino," disse Martina, raggiungendo Facundo, il quale teneva il figlio e faceva facce buffe. Non avrei mai pensato di vedere Facundo intento a far ridere un bambino. Pensavo che avesse paura dei bambini.
"Come lo avete chiamato?" Chiesi, incuriosito a causa del messaggio.
Alba, che stava riposando su un mucchio di cuscini, sorrise. Sembrava stanca e aveva perso un po' di colorito in viso. C'erano ombre scure sotto gli occhi ed era ovvio che non stava bene. Dovrebbe dormire un po', pensai.
"Gabriel," Martina e Alba parlarono contemporaneamente, sorridendo con quell'espressione da 'siamo nella merda'.
Rimasi a bocca aperta, incredulo. Non me lo aspettavo. "Non dirai sul serio." Guardai Facundo, alla ricerca di qualsiasi segno che mi avrebbe confermato che tutto ciò era uno scherzo e che stavano solo prendendo in giro il mio secondo nome. Facundo si strinse nelle spalle, mentre dondolava il bambino tra le sue braccia. Stava cercando di non ridere.
"Pensavo ti avrebbe fatto piacere, " disse Alba. "Me l'ha suggerito Martina e sia a Facundo che a me è piaciuto molto."
Il mio sguardo accusatorio si voltò verso la mia ragazza.
"Posso spiegarti." Sollevò le mani prima che potessi dire altro. "Quest'estate stavo leggendo un libro -davvero bello per giunta- in cui uno dei ragazzi si chiamava Gabriel, e questa ragazza ossessionata dal significato dei nomi diceva che Gabriel significa 'maschile' e 'virile'." Tini sorrise innocentemente mentre posizionò le mani in un gesto di preghiera. "Così puoi smetterla di sentirti in imbarazzo ora."
Lo considerai per un momento. A dire il vero, non mi ero mai preso la briga di cercare il significato del mio nome.
"Il bambino ti considererà come se fossi suo zio o qualcosa del genere, amico." Facundo mi diede una pacca sulla schiena. Temevo che il bambino sarebbe caduto se lo avesse tenuto con un solo braccio, ma notai che il piccolo Gabriel non era più tra le sue braccia. Lo aveva Martina.
Quell'immagine mi colpì più di quanto mi fossi preparato. Il bambino era minuscolo, con la pelle color bronzo, avvolto in una coperta blu come un bozzolo, gli occhietti chiusi. Gabriel aveva il pugno più piccolo che avessi mai visto, lo teneva stretto intorno al mignolo di Martina mentre lei lo guardava con tanta tenerezza che mi aspettavo scoppiasse a piangere da un momento all'altro.
"Non è adorabile, Jorge?" Alzò lo sguardo verso di me, e una ciocca di capelli le cadde sul viso. Gliela infilai cautamente dietro l'orecchio e fece un sorriso ancora più grande, se fosse possibile.
"Dato il nome, allora sarà adorabile per tutta la sua vita," dissi scherzando. Martina alzò gli occhi, dondolando dolcemente il bambino.
"Vuoi tenerlo, Jorge?" Chiese Alba.
Fui sorpreso. "Io..." E se Gabriel iniziasse a piangere? O peggio, lo facessi cadere? Quando è stata l'ultima volta che avevo tenuto in braccio un bambino? Quando nacque Daniel? "Non lo so."
Improvvisamaente il bambino fu tra le mie braccia, non piangeva ed era così leggero e morbido. Gabriel aprì gli occhi. Erano di colore indefinito come tutti gli occhi dei bimbi appena nati, il marrone e il blu e il grigio in un colore solo.
Martina mise un braccio intorno alla mia schiena, appoggiando la testa sulla mia spalla. "Dovrai fare pratica. Voglio un sacco di bambini in futuro."
Martina Pov.
"Quindi è questo?"
Eravamo in piedi nel parcheggio dell'ospedale a fissare il più brutto, probabilmente più vecchio camioncino che avessi mai visto in tutta la mia vita. Peggio ancora, Jorge mi aveva appena detto che quella era la fantastica macchina che aveva comprato e che non vedeva l'ora di farmi vedere.
"Ha bisogno di una riverniciata e una nuova radio, ma il motore è buono essendo nuovo." Fece il giro del furgoncino come se mi stesse pubblicizzando le sue migliori caratteristiche. "E cosa più importante, è mio. Pagato con il mio primo stipendio onesto fino all'ultimo centesimo."
Come facevo a dirgli che sembrava come se si potesse rompere in mezzo alla strada quando mi guardava con quello sguardo felice e orgoglioso?
"È stupendo," dissi, cercando di sorridere in modo incoraggiante. "Voglio dire, scommetto che avrà l'aspetto di una macchina di questo secolo, dopo una mano di vernice fresca."
Jorge sbuffò fingendosi indignato. "Se continui a insultare la mia bambina, sarò costretto a non farti salire."
"Ah no, non darai mica un nome a quella macchina."
"Gelosa?"
Lo ignorai. "Se lo avessi saputo, avrei portato la mia auto."
"Oh mio Dio," disse con una finta voce snob. "Hai preso l'autobus?"
Gli corsi incontro per dargli uno schiaffo, ma continuò a scappare intorno al camion e così non lo raggiunsi. "La metropolitana, in realtà."
"Devo ammettere che sono colpito," confessò con una mano sul petto.
"Zitto," mormorai, finendo per ridere. "E apri questa cosa. Mi sto sciogliendo qui."
All'interno c'era un lungo sedile, il che aveva i suoi vantaggi credo. Nessuna console centrale significava nessuna separazione fisica tra di noi. Ed era pulita e confortevole, anche se non c'era l'aria condizionata.
"Allora, dove mi stai portando?" Chiesi non appena Jorge uscì dal parcheggio.
"Credo di aver avuto una magnifica idea."
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B.R.O.N.X.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora