62.RICOVERO

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Jorge Pov.
Sentivo dolore ovunque. Cercando di aprire gli occhi, di muovere le mani, di separare le labbra screpolate. La luce pugnalava il retro delle mie palpebre, volevo sussultare, essendo stato al buio per tanto tempo, ma non riuscivo nemmeno a farlo. Dopo aver visto la luce, iniziai a sentire qualcosa. C'era un costante, ritmico bip, e poi un altro suono irregolare, come uno sfogliare di pagine di un libro. Non c'era nessun odore riconoscibile, salvo un lieve soffio di caffè. Non sentivo né caldo né freddo, ma le mie ossa erano pesanti.
Cercai di concentrarmi sulla mia mano, nello stesso modo in cui l'avevo spostata prima, quando strinsi la mano di Martina. Non avevo idea di quando fosse stato. Ore, giorni, settimane fa? Sentivo le dita rigide quando cercai di piegarle e poi allungarle di nuovo. La pelle mi faceva male quando ci provai, così immaginai di avere una flebo. A causa del dolore, la mia testa sembrava leggera e ciondolava di lato, cercando di allontanarsi dalla luminosità del sole.
Sentii un sospiro.
Finalmente riuscii ad aprire gli occhi. Battei le palpebre più volte fino a quando la mia vista fu abbastanza chiara da distinguere la persona seduta accanto a me. C'era una rivista abbandonata sul divano dove era stata in precedenza sfogliata. Candelaria rimase immobile, con una mano aperta sulla bocca mentre i suoi grandi occhi mi fissavano con perplessità.
Aprii la bocca per cercare di dire qualcosa, ma le parole non vennero fuori. Avevo la gola secca e mi sentivo che se avessi spostato un altro muscolo sarei finito di nuovo in uno stato di incoscienza. Mi sentivo esausto, anche dopo essere stato a letto per chissà quanto tempo.
Alla fine, Candelaria abbassò la mano, e il suo sguardo incredulo mutò in arrabbiato in una manciata di secondi. "Stronzo," disse, non gentilmente. "Non ti azzardare a chiudere nuovamente gli occhi. Vado a chiamare il dottore e la mamma. Se provi a riaddormentarti..." La sua voce era dura e inflessibile, come se fosse veramente arrabbiata con me, ma i suoi occhi brillavano a causa delle lacrime e le sue mani tremavano lungo i fianchi. Non finì nemmeno la frase.
Ero scioccato nel silenzio - non che avrei potuto parlare comunque - mi aspettavo un caloroso bentornato. Sapevo che Candelaria non sarebbe stata molto contenta di me, ma essere chiamato stronzo batteva tutte le altre aspettative.
Lasciò la stanza prima che io potessi fare qualcosa oltre che guardarla scioccato, correva lungo il corridoio, chiamando mia madre. Ero abbastanza sicuro che l'intero ospedale avesse capito che ero sveglio.
Mia madre entrò nella stanza, non un minuto più tardi, le lacrime rotolarono giù per le sue guance, cercando di capire come mi sentivo. Un uomo vestito con un camice bianco la seguì.
"Mamma," dissi con voce stridula, cercando di ingoiare un po' di saliva per alleviare il prurito in gola. Si sentì a malapena, ma cominciò a piangere, avvolgendomi delicatamente con le sue braccia. Non potevo lamentarmi del fatto che il suo peso premeva contro quello che presumevo fosse una ferita nel petto, anche se faceva un male cane.
"Oh mio Dio," disse. "Sei sveglio. Il mio bambino. Grazie al cielo." Si staccò da me, asciugandosi in fretta e spalmandosi il trucco sugli occhi. Sembrava come se fosse appena arrivata in ospedale dal lavoro dieci minuti fa. Il sollievo nella sua espressione e le sue parole mi fecero male al petto per un motivo completamente diverso da una ferita fisica. Cande aveva ragione. Era ovvio che le avevo fatto immensamente male.
"Mi dispiace interrompere il momento madre-figlio, ma ho bisogno di controllare un paio di cose." Il medico che era venuto dopo la mamma si schiarì la gola, camminando intorno al letto dove erano posizioDiego tutte le macchine collegate al mio corpo. Ce n'era uno che mostrava il mio battito cardiaco. Era l'unica che riuscivo a riconoscere. Il resto di esse facevano solo rumore ed erano collegati al mio corpo attraverso dei tubi. Preferii non guardare sotto la stupida vestaglia che indossavo. Chi sapeva quali altre ferite avevo e quanto brutte sembravano.

La mamma fece un solo passo indietro, mi teneva ancora la mano e mi parlava, mentre il medico controllava le macchine e ascoltava il mio cuore con uno stetoscopio. "Ero davvero preoccupata, Jorge. Sei stato in coma per quasi una settimana." La sua voce tremava, i suoi grandi occhi azzurri erano terrorizzati.
Provai ad ingoiare di nuovo. Questo mi fece sentire peggio che essere chiamato uno stronzo.
"Può dargli un po' d'acqua." Il medico indicò una brocca su un tavolo accanto al letto. Il suo tono era sincopato e distaccato, come se il dolore di mia madre non lo influenzasse minimamente.
Fui grato per l'acqua fredda non appena scivolò giù nella mia bocca e giù per il mio esofago, fino ad arrivare allo stomaco vuoto. Pensai di essere stato nutrito via endovenosa. Non riuscii più a guardare l'espressione sul viso di mia madre. Dopo aver inghiottito quel bicchiere d'acqua la ringraziai mentre il medico sembrava aver finito di controllare il mio corpo, lei continuò a guardarmi come se essere vivo fosse stato un dono degli dei. O una specie di miracolo.
"Mi dispiace," dissi. Era una cosa patetica da dire, ma non c'erano parole per chiedere scusa per tutto quello che le avevo fatto passare. Speravo capisse che non mi riferivo solo all'incidente.
"Jorge," sussurrò, uno sguardo comprensivo, la sua mano a coppa su una delle mie guance. Sentivo la barba che era cresciuta durante questi giorni. Per fortuna, non era un problema per me. Non disse nient'altro, probabilmente era a corto di parole quanto me.
Candelaria si precipitò nella stanza, proprio quando il dottore stava chiamando qualcuno sul suo cercapersone. Scosse la testa a Candelaria, come se la conoscesse abbastanza da trovarla irritante. Non potevo biasimarlo; Cande era... intensa.
"Oh, ora parli?" Ignorò il dottore e strinse gli occhi verso di me, come per mostrarmi che si era completamente ripresa dal suo momento di debolezza di prima. "Grandioso. Potresti cominciare a spiegare. Abbiamo tutto il giorno. Oppure pomeriggio, quel che è." Si sedette su una sedia, guardandomi dritto negli occhi.
"Candelaria, non lo stressare," mia madre la rimproverò, sembrava quasi contenta che avessimo ricominciato a litigare. "Jorge ha bisogno di riposare. Ci sarà tempo per le domande più tardi."
"Esatto. Magari vuoi accomodarti e minacciare tuo fratello dato che non l'hai potuto fare ultimamente," disse il dottore dalla porta, dove immaginai stesse aspettando di parlare con mia mamma. "Non è più incosciente, quindi potrebbe urlarti contro di nuovo."
Sia Candelaria che io eravamo sconcertati da quel tentativo di umorismo del dottore. Voglio dire, era un uomo con una faccia seria, i capelli brizzolati e quegli occhiali d'oro sottili che solo gli anziani indossano. Non mi sembrava un tipo divertente. Mia madre, però, sorrise.
"Torno subito, tesoro." Mi baciò sulla fronte, mi strinse il braccio e lasciò la stanza con il medico, presumibilmenteper parlare di ciò che sarebbe potuto accadermi. Non mi persi il modo in cui lei sembrava riluttante a lasciare il mio fianco, come se scomparissi non appena avesse lasciato la mia mano.
Candelaria intanto mi stava pugnalando con lo sguardo.
"Puoi smetterla di guardarmi in quel modo? Mi fai sentire come se avessi preferito che non mi fossi svegliato."
Smise immediatamente. "Non dire così. Lo sai che morivo dalla voglia di vederti sveglio."
Allungai un braccio per toccarle i capelli. Non si ritrasse, ma parlò prima che potessi scusarmi con lei come avevo fatto con la mamma. Ebbi la sensazione che non fosse ancora pronta a perdonarmi. Mi stava bene-
"È Giovedì," disse. "Pensavo te lo stessi chiedendo."
Spalancai la bocca sorpreso. "Sono stato in come per sei giorni?" Quando mia mamma aveva detto una settimana, pensavo che stesse esagerando.
"Mhhh." Candelaria annuì distrattamente.
"L'hai-" Esitai, maledicendomi per il fatto che Martina non era stata la prima cosa che mi era passata per la mente non appena aprii gli occhi, prima ancora di chiedermi quanto tempo fosse passato da Venerdì. "L'hai, sai, detto già a tutti?"
Candelaria soffocò un sorriso. "Chi vuoi dire con tutti?" Sapeva a chi mi stessi riferendo eppure mi rendeva sempre le cose difficili.
"Tutti," risposi seccamente. "Xabiani, Alba, Bruce e Diane..." Candelaria sussultò alla menzione dei nostri nonni, così capii che non si erano minimamente interessati al mio benessere. Oppure mia madre non si era nemmeno presa la briga di dirglielo. Spinsi la fitta di dolore alla parte posteriore della mia mente. Non riuscivo a pensarci adesso.
"Ho inviato comunque un messaggio a tutti. Xabiani e Alba stanno arrivando. Probabilmente verrà anche Stephie."
Fermai lì il discorso perché non mi piaceva che il nome di Martina non fosse insieme a quello di Xabiani e Alba. "Stephie?"
"Ti ha fatto visita." La voce e il volto di Candelaria erano duri. "Credo che sia il minimo che potesse fare dato che è il motivo per cui tu sei qui."
"Non è stata colpa sua, Candelaria. Qualunque cosa tu hai sentito-"
"Ce lo ha detto lei stessa," mi interruppe in fretta. "Non capisco come la mamma non la odi. Martina le avrebbe dovuto staccare la testa. Se solo la sicurezza non l'avesse cacciata."
"Aspetta, Martina, la mia piccolina è stata cacciata dall'ospedale dalla sicurezza?" Chiesi, stupito.
Candelaria mi mandò uno sguardo interrogativo. Avevo detto <<la mia piccolina>> come se avessi ancora il diritto di chiamarla mia, ma non riuscii a farne a meno. Spostai lo sguardo lontano da Candelaria.
"Ha iniziato ad urlarle contro, chiamandola puttana, dicendole che sarebbe dovuta morire lei al tuo posto."
"Ma io non sono morto," protestai debolmente, incapace di credere che Martina avesse davvero detto quelle cose. Sia perché sarebbe dovuta essere arrabbiata con me e perché non ha mai detto delle cose del genere.
"Eri ad un soffio dalla morte, Jorge," disse Candelaria seriamente.
Questa volta inghiottii a fatica. "Mi-"
"Dispiace? Lo so. Non hai pensato prima di agire. Succede quando si tratta di te. Non pensare, intendo."
Ignorai la sua osservazione. "Ho sentito solo qualcosa di quello che hai detto mentre dormivo."
Candelaria si irrigidì visibilmente. "Ho detto un sacco di cose."
"Erano vere?"
"Quale parte?"
"Quando hai detto che avevi bisogno di me, che ero importante." Era stato così difficile dire quelle parole esattamente quanto lo era per lei ascoltarle. Non eravamo mai stati quei tipi di fratello e sorella sentimentali.
Candelaria incontrò i miei occhi, questa volta non con disprezzo o rabbia, ma tristezza e amore. "Certo che è vero, scemo." Si alzò, appoggiando le mani sul mio braccio non collegato alla flebo. "Sei mio fratello. Mi sei mancato. Ero preoccupata per te." Sbatté le palpebre rapidamente e si chinò ad abbracciarmi, più gentilmente di quanto mi sarei mai aspettato da Cande. Mi sentivo bagnato sul collo dove nascondeva il viso. Strinsi le braccia intorno a lei nel modo più stretto che riuscii a causa della mia debolezza.
"Sono così felice che tu sia tornato," mormorò, soffocata dal mio collo.
"Anche io," dissi. Sapevo quanto male avessi fatto a Candelaria e per l'ennesima volta mi stava dando un'altra possibilità, mi aveva perdonato, quando sapevo che non era stato facile per lei. "Ti voglio bene, moccioso."
Mi abbracciò ancora più strettamente. Trasalii al dolore al petto, ma non la spinsi via.
"Ti voglio bene anche io," dissi alla fine, alzando la testa. Il suo viso era asciutto e stava sorridendo. Il suo sorriso svanì quando mi vide trasalire. "Ti fa male? Hai bisogno del dottore? Un'infermiera dovrebbe essere qui da un momento all'altro." Si avviò verso la porta, quasi in preda al panico, ma riuscii a fermarla.
"Va tutto bene, Cande. Probabilmente ho solo bisogno di più antidolorifici, ma prima che mi facciano perdere conoscenza di nuovo, voglio che tu mi dica cosa è successo al mio corpo. Mi sembra di essere pieno di lividi."
Candelaria si sedette di nuovo e cautamente cominciò a raccontarmi tutti gli interventi chirurgici che avevo subito e quello che era successo quando ero stato ad un passo dalla morte. Ascoltai in silenzio per tutta la spiegazione, feci delle smorfie e quasi soffocai alla menzione di sangue e costole rotte e un polmone collassato. Questo spiegava il dolore al fianco sinistro.
"E non hai più la milza," aggiunse. "Oh." I miei occhi si spalancarono. "È così importante?" Per qualche ragione mi spaventai quando mi disse che mi mancava un organo.
"A quanto pare non è indispensabile." Si strinse nelle spalle. Non ebbi il tempo di soffermarmi, perché il telefono di Cande squillò. Si morse il labbro mentre leggeva il messaggio che aveva appena ricevuto, spense in fretta il telefono.
"Cos'è?" Chiesi cautamente.
Sembrava riluttante a dirmelo.
"Candelaria."
"Era Martina."
Presi un respiro profondo, il che sembrò turbare il mio polmone. "Verrà qui?" Odiavo quella speranza nella mia voce.
Candelaria evitò di guardarmi. "È stata qui tutto il pomeriggio, è andata via due ore prima che ti svegliassi. Dice che non può venire ora perché ha un test importante domani."
Sapevamo entrambi che era una scusa. Martina avrebbe abbandonato quel libro per me in qualsiasi momento prima di esserci lasciati. Prima. Non avevo nemmeno il diritto di essere arrabbiato. Era del tutto comprensibile che non volesse vedermi dopo tutto il male che le avevo fatto, ma una parte di me sperava che, quando mi aveva fatto visita mentre ero incosciente, sarebbe stata pronta di vedermi. Chiaramente, non lo era. Probabilmente le facevo solo pena ed era venuta più per mia madre e Candelaria che per me, per noi. Se ci fosse stata ancora una possibilità per noi. Ero abbastanza sicuro di aver rovinato tutto.
"Ho ufficialmente rovinato tutto," sospirai.
"A quanto pare," disse Candelaria, mettendo via il suo telefono.
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"Si è addormentato di nuovo?" chiese una voce sommessa.
"Sono gli antidolorifici. Lo stordiscono," qualcuno rispose.
Battei le palpebre, quando aprii gli occhi e vidi una ragazza dai capelli scuri, che mi guardava con quei grandi occhi, rimasi sorpreso.
"Ehi, Jorge," disse con calma, in piedi ai piedi del letto. Candelaria stava discretamente controllando, come se fosse pronta a saltarle addosso in qualsiasi momento se Stephie avesse fatto un movimento strano.
"Ehi," dissi, ignorando Candelaria. "Che ora è?"
Mi ero addormentato dopo che Xabiani, Alba e Mike se n'erano andati, era stato nel tardo pomeriggio credo.
"È ora di mangiare," disse Candelaria, tenendo un vassoio, con il cibo dell'ospedale, tra le mani. Lo posò su un tavolo con le ruote posizionato sopra il mio stomaco. "L'infermiera ha detto che dovresti cercare di mangiare un po' così il tuo stomaco si abitua di nuovo. Ti hanno nutrito attraverso quella." Indicò una borsa bianca, appesa all'asta della flebo accanto al mio letto e rabbrividì. "Sembra vomito di elfo."
"Grazie," mormorai, ora disgustato, pensando a quanto mi piacerebbe un hamburger, patatine fritte e una birra.
"Mangia lentamente e non stare male. Ci vorrà un po' per riportare il tuo stomaco alle normali quantità di cibo." Sembrava come se Cande avesse appreso le istruzioni dell'infermiera a memoria. Questo spiegava perché c'era solo una ciotola di zuppa e una cosa rossa che assomigliava ad una gelatina.
"Devo veramente ?" Chiesi con un cipiglio quando Cande premette alcuni pulsanti per sollevare il letto in una posizione seduta.
"Devo imboccarti come un bambino?" Alzò un sopracciglio. Ebbi la sensazione che ne avrebbe goduto a pieno.
"No."
Mi sentivo strano a mangiare, quasi come se avessi dimenticato come fare durante il coma. Per peggiorare le cose, dovetti usare la mano destra dato che il mio braccio sinistro era tutto perforato dalle flebo e non riuscii a sollevarlo senza sentire alcun fastidio. Avevano messo anche una cannuccia nella mia bottiglia d'acqua, il che mi faceva sembrare un bambino di cinque anni.
"Non riesco a mangiare se mi fissate in quel modo," dissi quando notai Candelaria e Stephie seguire ogni mio movimento, come se guardare qualcuno mangiare una zuppa fosse di intrattenimento. Per mia sorpresa - dopo aver pensato di avere così fame - non riuscii a finire la minestra, e lasciai tutta la gelatina. Non mi era mai piaciuta la gelatina.
"Ti porto questo al carrello," Candelaria si allontanò dopo avermi allontano il tavolo da sopra lo stomaco, e dopo aver inviato uno sguardo di avvertimento ad Stephie.
Stephie quasi alzò gli occhi, ma si sedette sul divano accanto al letto. "Come ti senti?" chiese lei, mettendo le mani tra le ginocchia. Stava masticando la guancia, come se si sentisse in colpa.
"Un po' stordito e strano," confessai. "Ma immagino che sarei potuto sentirmi peggio dopo tutto quello che mi hanno fatto." Cercai di scrollare le spalle, ma sentii un dolore al petto. Gli antidolorifici che mi stavano dando non facevano abbastanza effetto.
Il dottor Holloway - era il nome dell'uomo dal bell'aspetto, dai capelli grigi, e dagli occhiali d'oro - aveva spiegato tutto a Candelaria la quale mi aveva riferito nel dettaglio. Quasi non volevo sentire, ma ero contento di non sapere il significato della maggior parte dei termini usati. In ogni caso, il mio corpo aveva preso una bella batosta.
"Hai fatto un casino," disse Stephie con leggerezza, ma senza cuore. Sembrava che avesse dovuto sopportare le accuse di tutti quando, in realtà, era tutta colpa mia.
"Non voglio che tu ti senta come fosse colpa tua, Ale. Io sono saltato proprio di fronte a quella macchina. Io ero quello che doveva essere preso in pieno. Eri solo nel posto sbagliato al momento sbagliato."
"Ma Jorge, quello che hai fatto è stato assurdo." I suoi occhi erano grandi e rotondi. "Potevi essere morto in questo momento e nessuna rassicurazione mi avrebbe fatto sentire meno in colpa. Non avresti dovuto farlo."
"E come pensi che mi sentirei se fossi morta tu? Peter voleva investire me. Non è giusto lasciare che la gente che odio ferisca delle persone innocenti. Lo rifarei di nuovo," dissi sinceramente.
Stephie sembrava che stesse per mettersi a piangere, così cambiai argomento.
"Cosa è successo a Peter?" Chiesi. Non volevo davvero sapere nulla di quel figlio di puttana, ma speravo avesse fatto una fine peggiore della mia. Essendo stato quello investito, ero probabilmente messo peggio.
"Non ho parlato con lui direttamente, ma qualcuno mi ha detto che ha battuto la testa piuttosto forte. Si è anche rotto un paio di costole. E la caviglia. Ma non è più in ospedale. Se n'è andato un paio di giorni fa."
Grandioso.
"Non mi importa. Lo ucciderò non appena potrò uscire da questo cazzo di letto." Non mi ero reso conto che stessi stringendo i pugni fino a quando Stephie non me lo fece notare. Il nastro che teneva la flebo nella mia mano si era macchiato di sangue a causa della pressione.
"Non ne avrai alcuna possibilità," disse piano. Tutto in lei sembrava più dolce da quando si rese conto di valere più di quanto Peter le facesse credere. Mi sentivo male per essermi comportato nello stesso modo nell'arco di tempo in cui eravamo stati "insieme". "La polizia ha interrogato tutti. Se riescono a dimostrare che Peter l'ha fatto apposta, sarà accusato di tentato omicidio. Potrebbe andare in prigione."
Se non dovesse morire per mano mia, l'idea di Peter marcire in prigione per il resto della sua vita era piuttosto interessante.
"Il padre di Martina si sta occupando del tuo caso. Mi ha detto che avrebbe fatto il possibile per farla pagare a Peter per quello che ti ha fatto."
"Te l'ha detto prima o dopo averti aggredita verbalmente?"
"Oh, quello." Stephie sembrava imbarazzata. "Te l'ha detto Martina?"
Scossi la testa. "Non è ancora venuta." E penso che non verrà per un buon periodo di tempo.
Le sopracciglia di Stephie si erano aggrottate in un misto di incredulità e di pietà. "La capisco, sai. Probabilmente avrei fatto lo stesso se i ruoli fossero stati invertiti. Comunque, ci siamo tipo chiarite il giorno dopo."
Scoppiai quasi a ridere. "Quindi siete amiche adesso?"
"Non esattamente. Non credo saremo mai in grado di essere amiche. È troppo Upper-East-Side per me."
Risi amaramente. "Penso lo sia anche per me."
Stephie non disse nulla per un momento, e poi, "Jorge, non verrà a trovarti? Tipo più tardi o domani?"
"Non sembra voglia. Non la posso biasimare. Non vorrei vedermi nemmeno io se fossi in lei."
Stephie si mise a giocare con un buco sfilacciato nei suoi jeans. "Beh, sì. Ma è stata qui tutti i giorni." Alzò lo sguardo. "Si è anche intrufolata nel reparto di terapia intensiva mentre eri lì. Più di una volta. E poi, quando ti hanno trasferito in questa stanza, non voleva lasciare il tuo fianco. I suoi genitori l'hanno dovuta praticamente trascinare fuori ogni notte e appena finiva la scuola veniva direttamente qui. "
Sentii un rigonfiamento nel cuore, ero abbastanza sicuro fosse la speranza che cercai subito di soffocare. Non significa nulla, mi ricordai.
"Devo essere ancora più attraente quando dormo allora."
"Non essere cinico. Stai morendo dalla voglia di vederla," disse Stephie compiaciuta.
"Certo che la voglio vedere," mormorai timidamente. "Non credo che lei voglia però. Sarebbe qui altrimenti. Quando Candelaria le ha fatto sapere che ero sveglio, lei ha detto che doveva studiare."
"Wow." Stephie incrociò le braccia, appoggiata sul divano, ora più rilassata. "Dovrai davvero impegnarti per convincerla a perdonarti."
"Se mai mi perdonerà," mormorai.
"Ricordami ancora perché hai dovuto incasinare tutto?"
"Perché sono un idiota?" Disse retoricamente. Mi aspettavo quasi che Stephie fosse d'accordo con me e avesse aggiunto qualche altro insulto alla lista di quelli che avevo già in mente, ma non disse niente, come se stesse aspettando che dicessi qualcosa d'altro.
"Credo di aver pensato che fosse una buona idea, al momento," iniziai dopo aver preso un respiro profondo. "Sembrava il modo migliore per smetterla di farle male. L'ho respinta per settimane, mentendole, cacciandomi sempre nei guai... Sembrava quasi giusto farla aspettare in quel modo, mentre io continuavo a comportarmi come un bastardo egoista. Pensavo non riuscissi assolutamente a cambiare per lei, potevo per lo meno lasciarla libera in modo che potesse trovare qualcuno migliore di me. "
Per tutto il tempo, fissai il lenzuolo bianco poggiato sul mio stomaco, mentre tiravo un filo uscito dalla cucitura. Sentivo gli occhi di Stephie bruciare per la frustrazione. Finiva sempre per essere frustrata quando si trattava di me per una qualsiasi ragione. La differenza era che ora aveva tutte le ragioni per esserlo.
"Sai, per uno che detesta il romanticismo, sembri troppo uno di quei ragazzi in quei romanzi sdolcinati che alle ragazze piacciono," disse Stephie, con un'espressione che non riuscii a decifrare.
"Sei una ragazza anche tu, lo sai questo?"
Sbuffò divertita. "Davvero? Non ne avevo idea." Poi, divenne di nuovo seria. "Non c'è nessuno migliore di te per lei, Jorge," disse, mettendo una mano sulla mia. "Potrebbe esserci qualcuno con più soldi, con un passato meno problematico, più bello e-"
"Non c'è nessuno più bello di me."
Stephie sorrise. "Quello che sto cercando di dire è che voi due siete fatti l'uno per l'altra e tutta quella merda banale, bla bla bla. L'ho sentita parlare con tua madre l'altro giorno. Stavano dicendo quanto sia folle che voi due foste così innamorati, così giovani e carini e quanto fossero preoccupati per entrambi, perché sapevano che qualcosa non andava. Ed ora la smetto di dire tutte queste cose mielose. "
"Da quando sei così sdolcinata?" Chiesi scherzando e cercando di reprimere un sorriso.
"Sai cosa?." Stephie improvvisamente si alzò in piedi, battendosi le mani sulle cosce, come se avesse avuto un'idea. "Ora la chiamiamo."
"Non penso sia una buona idea," obiettai, sentendomi nervoso alla prospettiva di parlare con Martina, al telefono. Inoltre, dubitavo che non avrebbe riagganciato.
"Beh, è un inizio." Prese il cellulare dalla borsetta.
"Ora vi scambiate anche i numeri?"
Stephie mi guardò impaziente. "Speravo sapessi il suo numero."
"Lo so infatti," dissi. "Ma non dovremmo usare il mio telefono?"
"Il tuo telefono non è più un telefono. Non credo tu lo voglia vedere." Fece una faccia di scuse. "È tipo rimasto schiacciato nell'incidente, ma guarda il lato positivo: ora puoi comprare un iPhone."
Onestamente, non me ne poteva fregare di meno del mio telefono al momento. L'unica cosa che non volevo perdere erano tutte le immagini e quelle sarebbero potute essere salvate se la scheda SD non si fosse rotta.
"Dimmelo," disse, pronta a comporre il numero di Martina.
"Credo ancora che non dovremmo chiamarla. E se non risponde?" Mi morsi il labbro inferiore.
Un sorriso malvagio si diffuse sul volto di Stephie. "Non sa che siamo noi fino a quando non risponde, e poi, sarò troppo tardi."
Martina Pov
"Conosci questo numero?" Chiesi a Ruggero mentre sparecchiammo la tavola. Maria aveva un giorno di riposo e quindi aveva cucinato mia mamma. Mostrai lo schermo illuminato a mio fratello.

B.R.O.N.X.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora