Martina Pov.
"Come sta Jorge?" mi domandò mia madre non appena posò due pancakes sul mio piatto. Spremetti più che potei la bottiglia quasi vuota di sciroppo d'acero sopra di essi, ricavandone soltanto le ultime gocce.
"Lui... sta," sospirai. "E credo sia il massimo che potresti aspettarti." Mia madre mi dedicò un'occhiata comprensiva, prima di ritornare ai fornelli. "Non riesco nemmeno ad immaginare come possa sentirsi sua madre, lasciata da sola con tre ragazzi da crescere..." sospirò, scuotendo il capo.
Sembrava davvero provata da quella situazione sin dal momento in cui glielo raccontai. Aveva preparato del cibo da portare a Jorge ogniqualvolta sarei andata da lui- il che fu fantastico perché era una cuoca eccellente -, sicuramente la sua cucina sarebbe stata colma di piatti di lasagne e torte fatte in casa.
Pattie l'aveva apprezzato molto, contando il fatto che non era dell'umore adatto per cucinare. Rob, lo zio di Jorge, era rimasto lì. Sembrava un uomo gentile, ma non ci eravamo rivolti la parola, per cui non avevo avuto modo di conoscerci (e ciò era durato alcuni giorni).
Jorge non gli parlava molto e Daniel si limitava a guardarlo raramente. Quel povero bambino, probabilmente, non si ricordava nemmeno di suo zio. E, per quanto riguarda Candelaria, nessuno l'aveva sentita parlare da sabato. Ed ora era mercoledì. Fummo fortunati del fatto che lunedì uscì dalla sua stanza per farsi una doccia e mangiare qualcosa.
Jorge aveva cercato di parlarle, ma fu un tentativo andato in fumo. Pattie era preoccupata del fatto che potesse entrare in una fase di stress dovuta a quell'avvenimento drammatico, dopo la perdita di suoi padre. Sapevo che era la piccolina di papà.
Sapevo che c'era intesa tra loro due, ma non riuscivo a mettermi nei suoi panni e capirla fino in fondo. Non aveva voluto parlare nemmeno con me. Non aveva nemmeno voluto che l'abbracciassimo, e nell'istante in cui tentammo di aprir bocca per protestare al suo sciopero, si nascondeva sotto alle coperte del suo letto o si chiudeva a chiave nel bagno.Pattie e Jorge temevano che avrebbe tentato di farsi del male. Non era andata a scuola e non aveva risposto alle chiamate dei suoi amici. Non era uscita di casa neppure per prendere una boccata d'aria fresca. A quel punto, tutti noi eravamo seriamente preoccupati. Jorge era un'altra storia.
L'avevo visto ogni singolo giorno dopo scuola, quando andavamo a prendere Tommy e Daniel agli allenamenti di calcio e passavamo del tempo fuori. Avrei potuto dire che fosse sempre con me. Era una cosa che capitava raramente.
Ogniqualvolta cercavo di chiedergli come stava, sviava l'argomento. Rimaneva in silenzio, lasciandomi fuori dalla sua bolla e dovevo cercare di capire dal suo sguardo cosa volesse dire. Sfortunatamente, non era bravo a nascondere i suoi sentimenti.
Era frustrante sapere che non c'era nulla che avessi potuto fare per riportargli suo padre indietro - perché sarebbe stata l'unica cosa che avrebbe potuto farlo sentire meglio. Era ciò che mi aveva detto l'ultima volta che gliel'avevo chiesto.
"Riportami mio padre! È l'unica cosa che mi farà stare meglio," pianse. Subito dopo si era scusato per avermi urlato contro. Mi aveva avvolto tra le sue braccia e mi aveva sussurrato diverse volte che gli dispiaceva. Non mi sentii ferita come lui credette - ogni emozione che mostrava attraverso il muro che aveva costruito attorno era la benvenuta.
Più di tutto, sentirsi crollare era normale in queste circostanze. Fui sorpresa del fatto che non capitasse spesso. Ciò che mi preoccupava di più, era vederlo crogiolarsi in sé stesso senza lasciarmi la possibilità di aiutarlo. Ero convinta che il mio discorso di domenica, quando lo trovai a giocare da solo a basket, non aveva avuto l'effetto desiderato.
Avevo solo sperato ingenuamente che potesse aiutarlo. La parte più ingenua di me credeva che potesse finalmente aprirsi questa volta. Ma sembrava essere coperto da un'armatura. Ero terrorizzata di come avrebbero potuto rivelarsi certe cose.
Perché Jorge non era molto bravo a controllare le sue emozioni e c'erano molte possibilità che scegliesse il modo sbagliato per liberarle. Uno di questi era l'erba e tirare pugni. "Ti ho lasciato sulla sedia il vestito per il funerale," disse mia madre.
Non avevo nemmeno realizzato di essermi persa tra i miei pensieri. Annuii, mentre masticai il cibo ormai tiepido. "Verrai?" le domandai, ingoiando il pancake con una generosa sorsata di caffé.
Ne avevo avuto più bisogno di quanto avessi potuto ammettere, visto che non avevo dormito nel modo in cui speravo.
"Certo. Uscirò prima dal lavoro oggi. Tuo padre verrà a prendermi." Abbozzò un sorriso, mentre sistemava nello zaino di Tommy un pacchettino contenente il pranzo. Sarebbe andato a casa di un amico dopo scuola. "Oh, va bene," mormorai.
Papa ci sarebbe stato comunque. Qualcosa che aveva a che fare con un lavoro per il governo. Solitamente partecipava ai funerali - specialmente a quelli di persone coinvolte in lavori per la difesa del paese, come ufficiali di polizia, ministri e soldati. Considerai comunque il fatto che sarebbe venuto per me. Lo apprezzai, ad essere sincera, specialmente perché sapevo che era ancora insicuro riguardo a Jorge.
"Voglio venire anche io," disse Ruggero, entrando in cucina, già vestito e con lo zaino in spalla. Sbattei le palpebre, guardando oltre il bordo della tazza. Ruggero aveva evitato di parlarmi per quasi due settimane. Ora che ci pensavo, l'avevano fatto tutti di recente.
"Cosa c'è? Mi piace Jorge e sua sorella è carina," disse Ruggero, sorprendendomi."Un po' pazza, ma carina," aggiunse a bassa voce. "Okay. Ti darò un passaggio dopo scuola," gli proposi, abbozzando un sorriso all'idea che avrei passato un po' di tempo con mio fratello.
"Veramente ho già chiesto a qualcuno di accompagnarmi," rispose Ruggero, secondo me mi stava solo rifilando una scusa per evitarmi di nuovo. Inclinai la testa di lato. Scommettevo che quel qualcuno fosse il ragazzo misterioso.
Prima che potessi domandarglielo,Ruggero afferrò un pancake e si diresse verso la porta d'ingresso, gridando un "Ci vediamo dopo," mentre masticava. Ora ero doppiamente sospettosa. Se non ci fosse già stata la situazione di Jorge a mantenere la mia mente occupata, avrei avuto anche un ragazzino di quindici anni da pedinare. Alquanto comodo.
Sospirando, ingoiai quel che ne rimaneva del mio caffè ed afferrai giacca e borsa. "Ci vediamo dopo, mamma." Le diedi un bacio sulla guancia, per poi uscire dall'appartamento e desiderando con tutta me stessa che la giornata di oggi potesse cancellarsi o, al limite, che potesse già concludersi.
Jorge Pov.
I funerali fanno schifo.
Per prima cosa, vestirsi di nero non faceva altro che rendere quell'esperienza ancor più deprimente. Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei indossato questo vestito - il vestito di mio padre che mia madre aveva aggiustato per me - perché avrei voluto strapparmelo nel bel mezzo del cimitero.
Da una parte, lo considerai come un tributo a mio padre, ma dall'altro lato, il peso da portare sulle spalle era troppo opprimente. Rimani in piedi davanti ad una tomba, guardando qualcuno che è sempre stato la colonna portante della tua vita mentre veniva sepolto due metri sotto terra per sempre.
Nel momento in cui vedi la bara contenente ciò che ne rimane della persona che una volta era tuo padre mentre viene calata tra la terra, per essere poi mangiato dai vermi, mentre tutto il tuo mondo crolla.
Cercai di rimanere impassibile di fronte a decine di persone che non conoscevo nemmeno, i quali erano venuti perché si supponeva avessero un qualche rapporto con mio padre. Ecco un altro aspetto seccante dei funerali.
Le persone sentivano il bisogno di venire a compiangere un defunto come se ciò potesse ripagarli dall'essersene fregati altamente mentre questi erano in vita. Sapevo che metà dei presenti fossero vecchi amici di famiglia o colleghi di mia madre che non conoscevano affatto Alvaro Blanco.
Martina mi aveva tenuto la mano per tutta la cerimonia, stringendola dolosamente mentre un gruppo di uomini in uniforme stendeva la bandiera americana sopra alla bara di mio padre. Tutto il funerale sembrò come una parata per me. Troppe persone, troppa confusione, troppe parole inutili.
Avrei voluto che finisse ancor prima che iniziasse. Altri due uomini erano morti assieme a mio padre. Le loro famiglie erano raggruppate attorno a noi in un silenzio di commiserazione. Non m'importava di quelle persone e sapevo che a loro non importava di noi. Se fosse stato per loro, avrebbero ucciso mio padre per riportare indietro il loro caro. Sapevo che era così, perché io avrei fatto la stessa cosa. Suonava alquanto crudele.
Mia madre pianse per tutta la cerimonia. Non sapevo nemmeno da dove provenissero tutte le lacrime che aveva pianto. Daniel sembrava un burattino, vestito con la sua giacca nera, stringeva la mano di mamma mentre fissava il vuoto senza realizzare che stessero seppellendo suo padre.
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B.R.O.N.X.
FanfictionTralasciando il fatto che tutti e due vivono a New York, Jorge e Martina non hanno niente in comune. Mentre Jorge fa l'impossibile per sopravvivere, Martina ha qualsiasi cosa ogni ragazza possa volere .O per lo meno lei pensa di avere tutto. Cosa s...