60. Eccitante

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Pov's Hel

Mi sveglio in un letto che non è il mio, in una camera che non è la mia.
Dal solo profumo che mi avvolge nelle lenzuola capisco che è di Ades. Ricordo bene la scorsa serata eppure cerco in tutti i modi di non farlo, ho bisogno di aria.

Continuo a guardarmi intorno, ammaliata dalla stanza di Ades, così semplice e in ordine ma ugualmente originale. Vedo Ades, è in ogni cosa che è qui dentro, perfino nelle inciclopedie di psicologia. Solo lui può leggere cose del genere.

Poi i miei occhi cadono su qualcosa di ancora più magnifico, una chitarra elettrica al un angolo della camera, di fianco alla scrivania, quasi a volerla nascondere, eppure è così difficile non notarla.

Scendo dal letto sentendo il freddo che mi avvolge e mi procura dei leggeri brividi, soprattutto quando poso i piedi per terra.

Mi avvicino allo strumento riluttante, quasi con la paura che Ades possa entrare da un momento all'altro e urlarmi di non toccarla. È nera, ovviamente, ed è estremamente lucida, tanto da sembrare nuova, tanto da sembrare inutilizzata.

Sento la pancia brontolare e capisco che è ora della colazione, non so neppure che ore sono, ma il sole è alto.

Sgattaiolo fuori ritrovandomi nel imponente corridoio in linee moderne per poi trovare le scale per il piano inferiore, ritrovandomi all'entrata.

Sento il profumo del caffè e dei leggerei rumori arrivare dalla cucina, senza rendermene conto il cuore accelera, e so anche il perché.

Ormai capisco fin troppo bene le sensazioni che occhi demoniaci mi procura, mi è entrato così in profondità da percepirlo anche a metri di distanza. Riconosco il rumore dei suoi passi, percepisco il movimento del suo corpo.

Lentamente mi avvicino alla cucina e non noto nient'altro che la sua chioma bionda e le spalle larghe coperte da una t-shirt nera, tanto stretta da mandarmi in tilt.

I suoi ricchi biondi e magnifici mi incantano, ricordo la loro consistenza, ricordo il loro profumo, ricordo.

Non mi accorgo, in un primo momento, che si è girato, e mi sta guardando.
Appoggiato all'isola della cucina, le braccia che si gonfiano alla pressione, i suoi occhi puntati su di me e il suo viso non mi aiuta di certo a pronunciare una parola di senso compiuto.

La sua bellezza è una dolce spina che mi graffia la pelle in profondità, ferite che mi lasceranno le cicatrici più belle sul mio corpo. È come se lo vedessi per la prima volta, ogni giorno.

<emhh...> continuo a mordermi il labbro inferiore, non riuscendo a parlare. Perché sto facendo l'idiota?

<buongiorno> la sua voce è un tormento nella mia testa, roca e fredda.
<'giorno> un sussurro, fievole e leggero, mancava soltanto che mi torturassi anche le mani.

I suoi occhi mi attraggono come una calamita, che mi istigano ad avvicinarmi a lui -sempre suddivisi dall'isola della cucina-

Mi passa una tazza piena di caffè, che non rifiuto minimamente, gli faccio un piccolo sorriso tirato.
<sei riuscita a dormire?> ricordo vagamente l'Ades gentile e premuroso, e fa male.

<abbastanza> solo due ore...
Abbasso lo sguardo sulla tazza, guardando il fumo che fuoriesce, guardarlo è l'ultima delle mie intenzioni ora.
Con la coda dell'occhio vedo che si sposta, di fianco a me. Mi volto leggermente ed è lì, a meno di mezzo metro da me, con le braccia incrociate e che mi fissa.

<cos'è successo ieri?> autoritario, distaccato, vuoto. Mai è stato così, e lo odio.

Tutto riaffiora. La stretta dolorante al collo, le urla di Odino, lui che mi ordina di uccidere Ades, quest'ultimo che mi salva.

Mr. & Ms. of deathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora