26

130 6 0
                                    

Il suono dei passi di Levi e Yeelen echeggiava nei corridoi della base, il rumore del bastone che Levi usava per sostenersi risuonava ogni volta che toccava il pavimento, ma il suo atteggiamento restava lo stesso: impassibile, diretto, con la determinazione che lo contraddistingueva. Yeelen camminava al suo fianco, più rapida, ma comunque consapevole di ogni movimento del suo compagno. Il freddo della mattina li avvolgeva, ma per loro non c'era tempo per fermarsi a pensare al clima o alla stanchezza.

Erano rientrati dalla battaglia, e sebbene la vittoria fosse stata ottenuta, nessuno di loro aveva intenzione di fermarsi. Il dolore, le ferite e la perdita erano qualcosa che veniva accettato senza discussioni. In quella vita, in quella guerra, non c'era spazio per il sollievo. La sensazione di essere vivi, di continuare a lottare, era tutto ciò che rimaneva.

"Levi," iniziò Yeelen, senza guardarlo, "non devi forzarti."

Levi la guardò di sottecchi, ma non rispose subito. Non aveva bisogno di dire nulla, perché entrambi sapevano bene cosa stava pensando. Non era il tipo da fermarsi per una ferita, e quella che aveva non era nemmeno così grave. Aveva visto e subito molto peggio, e quella gamba contusa non lo avrebbe fermato.

"Non preoccuparti per me," disse infine, la sua voce roca ma decisa. "Posso farcela."

Yeelen non commentò, ma il suo passo si fece un po' più lento, come se stesse decidendo se insistere o meno. La verità era che non importava quanto fosse forte Levi. Lei sapeva che anche il più grande dei soldati aveva i suoi limiti. Non si trattava di compassione, ma di esperienza. Ogni ferita lasciava un segno, e anche se Levi non lo ammetteva, quel segno avrebbe avuto delle conseguenze. Forzare se stessi oltre i propri limiti non era mai una soluzione definitiva.

Arrivarono alla sala comune, un ampio spazio dove i soldati della legione si radunavano per mangiare e riposare. Lì c'era un'aria più rilassata, ma in fondo, nessuno si sentiva davvero al sicuro. La guerra continuava a pesare su di loro, come una minaccia costante che nessuno riusciva a ignorare.

Levi si sedette a una delle tavole, scostando una sedia con la gamba sana e appoggiandosi pesantemente al tavolo. Yeelen si sedette di fronte a lui senza fare domande, lo guardò brevemente e poi abbassò lo sguardo, osservando le sue mani. Era un gesto che faceva raramente, ma in quel momento aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa di diverso dalla battaglia che aveva appena concluso.

"Capitano Levi," disse una voce che interruppe il silenzio. Era Sasha, che si era avvicinata con il suo solito sorriso timido ma determinato. "Come sta capitano? Ha bisogno di aiuto?"

Levi alzò gli occhi verso di lei, non sorpreso dal suo intervento. Sasha era sempre pronta a intervenire, anche quando non era necessario. "Sto bene," rispose brevemente. "Solo un piccolo infortunio. Non è nulla di grave."

"Non sembra stare tanto bene," disse Sasha, con una certa apprensione nella voce. "Non voglio sembrare invadente, ma dovrebbe davvero stare fermo per un po'. Non voglio che si faccia più male."

Yeelen osservava la scena, impassibile come sempre. Ma una parte di lei si sentiva leggermente sollevata nel vedere Sasha preoccuparsi, pur se il suo atteggiamento rimaneva sempre distaccato. Sasha non era un soldato come loro, eppure sembrava avere una cura che lei stessa, forse, non era capace di esprimere. La protezione che Yeelen offriva era fatta di silenzi, di ordine, di fermezza. Ma non c'era quella tenerezza che gli altri sembravano capire così bene.

"Non ti preoccupare, Sasha," disse Levi, vedendo la sua apprensione. "Io mi prendo cura di me stesso."

Yeelen, notando il modo in cui Levi stava parlando, decise di intervenire, sebbene a malincuore. "Non è il caso di fare gli eroi," disse con un tono quasi neutro, ma che nascondeva una punta di autorità. "Prendersi cura di sé non è un segno di debolezza. Ma certo, se preferisci continuare a camminare come un idiota, è un'altra cosa."

Levi alzò un sopracciglio, ma non ribatté. Sasha, d'altra parte, si fece da parte, sentendo che la discussione non le riguardava. Anche se Yeelen non aveva l'intenzione di essere insensibile, si rendeva conto che il tempo di trattare con delicatezza certi comportamenti era finito. Ogni uomo, ogni soldato, doveva accettare che anche la sua forza aveva dei limiti.

In quel momento, l'aria nella sala divenne più pesante. Non c'era nessun altro che parlasse. Ognuno era immerso nei propri pensieri, ma la consapevolezza che la guerra non concedeva tregua si respirava in ogni angolo della stanza. Il peso di ogni morte, di ogni sacrificio, era difficile da dimenticare.

Levi alzò finalmente la testa e fece un cenno con la mano, come per scacciare i pensieri. "Andiamo," disse, guardando Yeelen. "Abbiamo altre cose da fare. La guerra non aspetta nessuno."

Yeelen annuì, senza aggiungere nulla. Si alzò dal tavolo e lo seguì, pronta ad affrontare ciò che sarebbe arrivato. Non c'era tempo per riflettere, non c'era tempo per fermarsi. La missione continuava, e finché Levi sarebbe stato in piedi, non avrebbe mai smesso di lottare.

ALI della LIBERTÀ - Levi AckermanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora