Prologo

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CALUM

*Flashback*

Rientrai in casa dopo una serata con gli amici, erano le prime ore del mattino ormai e pensai o meglio, sperai che mia madre e mia sorella stessero dormendo. Barcollando girai le chiavi nella toppa, imprecando per il loro tintinnìo; nonostante la vista offuscata dall'alcool intravidi le luci della cucina accese e dei movimenti veloci. Cercando stabilità sulle gambe e appendendomi ai vari mobili, mi trascinai verso la sala dove vidi mia madre disperarsi in preda a una crisi di panico.
Mi maledii per il numero ecessivo di drink bevuti quella sera e chiesi con voce impastata e un disgustoso aroma amaro «Che succede?»
Mia madre alzó lo sguardo e, incontrando il mio, mi corse incontro prendendomi il viso tra le morbide mani. Sentii la stanchezza che la perseguitava ormai da mesi scorrere attraverso la sua pelle e arrivare alle mie ossa, vidi i suoi occhi gonfi di lacrime puntarsi sui miei. Potevo sentire dal suo tocco tremolante che qualcosa di grave era successo, e sicuramente questa volta era peggio di ciò che potevo immaginare.
Balbettando iniziò «Sono venuti, Calum. L'hanno preso e torneranno anche per te. Scappa figlio mio.»
Il suo tono implorante mi fece svegliare dalla trance e, prendendo le sue mani tra le mie, forse per l'ultima volta, dissi «Non posso lasciarvi qui».
Sentii gli occhi inumidirsi, ma nascosi la mia debolezza per non peggiorare la situazione. Troppi sbagli, non potevo lasciarmi scappare l'unico spiraglio di felicità che mi rimaneva.
A quel punto il suo sguardo dolce prese un'altra sfumatura e rimproverandomi disse «Devi andare. È la cosa migliore per tutti.»
Pensava forse a Mali e a se stessa, doveva proteggere prima loro che me, pecora nera della famiglia e più grande delusione di mia madre.

Senza ribattere mi allontanai, corsi al piano di sopra, misi nella prima borsa che trovai alcuni vestiti e dei soldi per poi scivolare piano in camera di Mali-koa, mia sorella.
Dormiva serena, ignara della realtà in cui viveva, in cui il suo eroe era in realtà la rovina della famiglia, ora pronto a scappare.

Mi avvicinai in punta di piedi al suo letto, la guardai, così bella e simile a sua madre, e le acarezzai i capelli tentando con tutto me stesso di non crollare lì e non essere più capace di alzarmi. Non volevo lasciarla sapendo che sarebbe cresciuta così, con la consapevolezza dell'abbandono; le volevo bene, e per questo era arrivato il momento che me ne andassi, ma qualcosa sembrava costringermi a restare e svegliarla per spiegarle tutto quanto, tutta la verità. Per colpa sua avrebbe sempre pensato che sono fuggito,lasciandola sola e non invece che sono scappato per il suo stesso bene.
Mi avrebbe odiato, io l'avrei amata sempre. Avrebbe cercato di cancellarmi, io di tatuarmela sul cuore. Avrebbe voluto picchiarmi, io solo abbracciarla.

Mi costrinsi ad alzarmi da terra e prendere il borsone tra le mani «Mi dispiace Mali.» Sussurai mentre le lasciavo un flebile bacio sulla fronte e lei si girava dopo avermi concesso un debole gemito, dandomi le spalle e costringendomi ad andare.

Lasciai il corridoio dove si affacciavano le stanze che avevano ospitato i giochi miei e di mia sorella, le notte insonni di mamma, le corse mie e di papà per raggiungere la cucina e mi avvicinai alle scale chiudendo gli occhi per immagazzinare ogni particolare di quella casa.

Arrivato al piano terra non ebbi il coraggio di guardare mia madre negli occhi mentre in cucina si puliva gli occhi dalle lacrime. Mi avvicinai piano a quella donna così sofferente e, serrando la mascella, posai una mano sul suo pancione: un fratello che non avrei mai potuto stringere tra le mie braccia.
«Troveró un modo. Ve lo prometto. Non vi lasceró soli.» Dissi mentre sentivo il famigliare bruciore allo stomaco risalire verso la gola. Rabbia mista a dolore erano padroni dei miei sensi in quel momento di addio.

Dopo aver salutato un'ultima volta mia madre, me ne andai. Mi aveva tradito, il mio stesso padre mi aveva tradito, e questa verità sarebbe stata la mia condanna a vita.

Mentre spuntava il sole all'orizzonte, mille domande si fecero spazio nella mia giovane mente.
Avevo solo sedici anni e la mia vita era giá segnata.
Dove sarei andato? Come avrei mantenuto la mia promessa? Sarei mai tornato?

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora