-Capitolo 43

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CALUM

Ancora una busta data via nella fredda notte di gennaio. Ero incastrato tra il mio passato e ció che realmente sarei voluto essere, ma non avevo scelta, e anche se l'avessi avuta, avrei continuato a fare il mio dovere.

Come mi era stato insegnato non ebbi pietà di chi mi stava davanti, di chi ancora una volta ricorreva a me per distruggersi e sgretolarsi sotto una stupida dipendenza.

Accanto a me, Dylan teneva la sigaretta tra le labbra tremanti dal gelo, la luce fioca di un lampione gli illuminava poco il volto, gli occhi bassi e in una mano giocherellava con la droga che era considerata ormai un 'mestiere'.
«Bella merda» si rigiró la bustina tra le dita. Nemmeno a lui andava giù il lavoro sporco ma per due ventenni ormai rovinati come noi, non esisteva via d'uscita.
La luce in fondo al tunnel esisteva, almeno per me, si chiamava Harper e illuminava tutto di azzurro, il colore della iridi in cui ero completamente annegato. Mentre Dylan, beh ero sicuro che anche lui avrebbe trovato la sua fiamma, seppur una piccola fiaccola fievole e non un incendio di luce come la mia Harper.

Lungo le vie che ci ospitavano era buio e il vento soffiava sempre più forte portandomi ciuffi spettinati davanti agli occhi e pertanto fui costretto a strofinarmi la felpa contro il petto per cercare sollievo e calore.
«È l'ultimo» indicai un uomo in fondo alla strada che si trascinava a fatica strisciando sul muro di un vecchio condominio traballante con una bottiglia di whisky in mano e delle banconote nell'altra.
Avrei voluto gridargli di andarsene, di non ridursi a un patetico barbone poco lontano dalla fine dei suoi giorni, ma non feci nulla e anzi, attesi in silenzio.

«Una» disse l'uomo, solo porgendomi i dollari che teneva stretti tra le dita tremanti.
Lo fissai: la barba incolta e bagnata lo facevano odorare orrendamente di alcool e gli stracci che indossava mi fecero quasi ribrezzo, non avevo idea di come avesse ricavato il denaro, ma non aveva importanza.
Gli porsi la dose, consapevole che sarebbe stato il colpo di grazia.

Un'altra l'una piena a riempire il cielo sopra questo quartiere malfamato.

Alla fine di quell'ennesima notte strinsi la mano al furetto che saltó in macchina e sfrecció oltre il buio verso casa sua.
Oltrepassai la strada deserta e raggiunsi la moto parcheggiata a lato di un marciapiede, sentii le palpebre pesare e mi affrettai a stropicciarmi gli occhi per poi mettere in moto e raggiungere il mio fatiscente appartemento.

Le chiavi tintinnarono nella serratura della porta di casa, diedi qualche colpo alla maniglia bloccata e finalmente riuscii ad entrare. Tolsi subito la felpa e la lanciai sul divano, presi un bicchiere e lasciai che l'acqua del rubinetto la riempisse mentre tentai di riordinare un minimo le stoviglie sporche.
Bevvi tutto d'un fiato e corsi sotto le coperte; dopo cinque ore sarei dovuto essere di fronte alla casa di Harper per portarla a scuola e sarei dovuto essere almeno presentabile.

Harper. Era così bello poterla definire 'fidanzata', dava come un senso di completezza allo stomaco e riusciva sempre a mettermi di buon umore. Faceva così tanto per me, anche inconsapevolmente, mentre io mi limitavo a baciarla e darle qualche piccolo cenno di affetto. Dovevo farla sentire speciale, farle capire quanto lei contasse per me, quanto fosse importante. Essenziale.
Dovevo organizzare qualcosa per lei, ma niente di troppo strano o appariscente perchè sapevo che non avrebbe fatto al caso suo, anche solamente fare una passeggiata sarebbe stato perfetto.
L'avrei portata in giro, magari al cinema o a mangiare una pizza; mi sarebbe bastato stare con lei, con lei e basta.

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Sfilai il casco dalla testa di Harper come ormai era mia abitudine e la vidi appiattirsi i capelli spettinati.
I suoi occhi strizzati a causa del sole erano la cosa più dolce a cui assistere prima di entrare tra le quattro mura dell'istituto.
«Aspetta..» sorrisi mettendole dietro l'orecchio una ciocca scura.
Lei arrossì leggermente e io non persi tempo per rubarle un veloce bacio sulle labbra. Prese la borsa e intrecció le nostre dita con la testa appoggiata sulla mia spalla mentre percorravamo il giardino dell'università.
Cercai di calmare ogni mio istinto che urlava di prenderla e baciarla davanti a tutti come se fosse l'ultima cosa che avessi potuto fare; anche se l'avrei fatto con piacere, l'avrei solo messa in imbarazzo.
Ondeggiai il braccio e le accaezzai il palmo della mano fino ad arrivare di fronte alla sua classe di biologia.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora