-Capitolo 4

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HARPER

Stavo per addormentarmi durante l'ora di Filosofia. L'unica cosa che mi teneva sveglia era la consapevolezza che quella fosse l'ultima ora della giornata, ed era il mio giorno libero al locale.

Non mi parve vero quando la lezione terminó e il professore ci avvertì che l'indomani avremmo iniziato un nuovo progetto.

Raccolsi le mie cose e le infilai nello zaino, mi girai per uscire dall'aula camminando velocemente. La tracolla mi scivoló dalla spalla, mi chinai per raccoglierla quando un paio di Converse nere si susseguirono accanto a me.

Tornai in piedi e osservai il ragazzo che camminava svogliatamente verso la porta; per un momento si voltó e mi parve un volto conosciuto, riuscii a vedere il colore dei suoi occhi. Stavolta un azzurro intenso si puntó sul mio sguardo, ma quel contatto duró così poco che non fui sicura fosse successo veramente.

Il ragazzo dai capelli biondi, lo stesso incrociato nel corridoio dei dormitori un paio di giorni prima, accelleró e uscì dall'aula sparendo oltre la porta.

Scossi la testa e mi avviai lungo i corridoi affollati dell' universitá.

Arrivata a casa lasciai alle spalle l'entrata e l'aria fredda; mi appoggiai alla porta buttando uno sguardo sul disordine che regnava in salotto.
Mi tolsi il cappotto e la sciarpa cercando di non strozzarmi e mi sedetti pigramente sul divano.
Presi la serie di fogli poggiati sul tavolino in vetro e li sistemai dentro una cartella. Forse avrei anche dovuto iniziare a studiare quei fogli, ma la voglia di farlo non arrivava.
Tra tutti i corsi dell'università vi erano anche le decine di foto che avevo scattato nel corso dell'anno.
Le misi in ordine cronologico ammirandone i dettagli.
Da settembre si vedevano i paesaggi mutare, le foglie cadere e la gente avvolgersi nei cappotti. Era come se la natura e le persone si dessero il cambio. Gli alberi si spogliavano e i passanti si coprivano.
Mi piaceva cogliere questi piccoli mutamenti nelle mie fotografie.

Arrivata alle ultime due foto mi accorsi di una ricorrenza. Un'ombra compariva sempre tra la pioggia del locale e sulla strada del ritorno dal pub. Un ragazzo forse, jeans neri e felpa scura. Dalla postura sembrava teso, in ansia.
Coincidenze, mi dissi.

Finii di raccogliere le immagini e le sistemai accuratamente negli album.
Appoggiai i cuscini sul divano, spolverai un po' i mobili e mi soffermai specialmente sui miei soprammobili preferiti: le mie macchinette fotografiche.
Ne avevo una decina, da collezione e non, tutte regalatemi da mio padre prima che divorziasse dalla mamma.
Ogni Natale, una nuova perla da aggiungere alle altre.

Verso le 5:00pm finii tutto, misi la mia tuta preferita, celeste, colore del cielo che poche volte le nuvole sopra Chicago ci permettevano di scorgere, e uscii con la mia Canon in mano per fare una passeggiata al parco.
Mi accorsi che sullo zerbino all'entrata c'erano dei volantini, pubblicitá, ma uno di loro attiró la mia attenzione. Vidi stampata una magnifica Polaroid anni '80 e in grassetto la scritta "MOSTRA FOTOGRAFICA". Lessi velocemente le scritte sottostanti; ringraziai chiunque avesse messo lí la mia occasione di trovare altre persone con la mia stessa passione.
Per l'iscrizione bastava andare a scuola, dove si sarebbe tenuta la mostra, e compilare un modulo, l'avrei fatto sicuramente l'indomani.

Quel giorno non aveva piovuto, l'aria era umida, e molte mamme con i passeggini si aggiravano per il parco.
Vidi anche alcuni studenti intenti a svolgere qualche ricerca, altri fare jogging e alcune dog-sitter portare a spasso i cani.
Io semplicemente camminavo, la macchinetta sempre pronta per uno scatto.

Decisi di fermarmi vicino ad una fontana, presi la Canon tra le mani, poggiai l'occhio sinistro sul mirino e girai l'obiettivo come a fare una panoramica.
Alberi, carrozzine, cani e... No, di nuovo?
Scorsi un ragazzo. Lo stesso ragazzo, per la precisione. Stessa felpa scura e postura tesa. Senza rendermene conto gli scattai una foto. Aveva uno strano fascino, un po' misterioso.
Un'idea mi balenó in testa e mi accorsi di star camminando solo quando fui talmente vicina allo sconosciuto da non poter piú fare marcia indietro.
«Ci conosciamo?»
Sbottó il ragazzo. Finalmente lo vedevo in viso, lineamenti morbidi seguivano tutto il volto, incorniciato da scompigliati capelli mori tenuti dentro a un cappello grigio. Aveva due profondi occhi leggermente a mandorla, stanchi, lo si notava dalla lieve sfumatura scura sotto le palpebre.
Forse mi soffermai troppo ad analizzarlo perchè lui chinó il capo di lato, come a chiedermi se avevo intenzione di rispondergli.

Cosa avrei detto adesso?

CALUM

«Ci conosciamo?» chiesi, forse un po' troppo sgarbatamente alla mora che mi si era avvicinata.
Lei si fermó, ed inizió ad osservarmi. Cazzo guardava?
Aspettai qualche istante nell'attesa che rispondesse e quando lo fece, la sua voce uscì insicura «Ehm, veramente no.. Solo che..»
Si ricompose, e questa volta proseguí sicura il suo discorso. Mi incuriosiva «Come vedi sono una fotografa» alzó la macchinetta che aveva tra le mani all'altezza del volto e mi sorrise timidamente, quasi a cercare la mia comprensione. Non avrebbe funzionato, ma lei proseguì «Nelle mie ultime foto mi sono accorta di averti ripreso un paio di volte, non prenderla nel modo sbagliato, non era mia intenzione» continuó bilanciando il peso da un piede all'altro e gesticolando freneticamente. Ridevo sotto i baffi senza darglielo a vedere, ma lei era troppo concentrata sul suo monologo «..e oggi quando ti ho rivisto al parco ho pensato che non fossero solo coincidenze»
Parlava svelta, ma comunque mettendo in evidenza le parole chiave del discorso. Mi piaceva. Questa volta fui io ad analizzarla.
Lunghi capelli neri, lisci per la precisione, le arrivavano sotto al seno, aveva due grandi pozzi azzurri al posto degli occhi, e un minuto naso all'insú che arricciava cercando di sorridere, mentre continuava a parlare. Annuii qualche volta. Ma mi ero perso a "Fotografa".
Le sue rosee labbra increspate per il freddo continuavano a parlare e parlare... Mi aveva fatto una domanda «Eh?» dissi, tornando alla realtá.
Lei riprese fiato e cordialmente ripetè «Potresti farmi da modello per la mostra fotografica che si terrá a scuola?»
Scoppiai a ridere. Cosa cazzo si aspettava? Non mi conosceva nemmeno, si presentava lì, e io sarei stato la sua cavia?
«Non se ne parla» risposi, voltandomi per riprendere a camminare.
La sua piccola mano strinse il mio braccio. Mi guardó negli occhi cercando un briciolo di solidarietà, ma non lo trovó.
«Perfavore. So che chiedo troppo, non ti conosco e ok, non mi conosci, ma è importante»
Scossi il capo, tolsi la sua mano quasi disgustato e me ne andai.

Non dovevo farmi notare dalla gente. Figuriamoci prendere parte a un'intera mostra di fotografie che mi rappresentano.
Ridicolo.

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Sul letto improvvisato in camera mi ritrovai a contare i soldi della serata precedente.
Di 1000$ che avevo "guadagnato", la metà li misi in una busta. Li avrei spediti a mia madre, come avevo promesso.
Firmai con una -C l'involucro e lo misi sul comodino instabile affianco al materassino.

Spensi la lampadina, e mi ritrovai a pensare alla mia famiglia.
Chissá com'era diventata grande Mali-Koa, quindici anni, era ormai una ragazza in piena gioventù. Magari aveva un ragazzo, magari me lo avrebbe presentato se solo non fossi scappato come un vigliacco. Non me lo perdonerà mai, non lo faró nemmeno io.
La mamma, sará ritornata come prima? Dolce e disponibile, sempre con parole di conforto, oppure la preoccupazione per me, per mio padre, avrá sostituito tutta la sua parte materna?
Il piccolo ormai aveva tre anni, non sapevo nemmeno il nome, nessuno mi aveva cercato da quando ero fuggito. Non volevano che mi rintracciassero, li capivo, ma a volte questa solitudine, questa permanente mancanza mi consumava dentro piú del solito.
Sentii gli occhi inumidirsi. Li asciugai prima che le lacrime potessero tradirmi.
Una volta che inizi a piangere, non puoi smettere. Non avevo questo privilegio, io.

Decisi che era ora di dormire: il primo giorno di scuola mi aveva stancato. Studenti e professori che correvano di qua e di lá mi stressavano, inoltre quello strano incontro con la ragazza... qual era il suo nome? Poca importanza.

Chiusi gli occhi e scivolai nel sonno.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora