-Capitolo 67

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CALUM

Ero di nuovo lì, difronte a quel malmesso edificio imbucato nella periferia di Chicago.

I miei occhi vedevano alte pareti dall'intonaco scrostato, una porta d'entrata in ferro arruginito, piccole finestre bloccate da sbarre e bidoni buttati a terra dai quali fuorisciva tutta l'immondizia, ma la mia mente sapeva cosa tutta quell'apparenza celava al suo interno e quindi presi coraggio per l'ennesima volta e mi avviai verso la porta.

Afferrata la maniglia, essa scricchioló leggermente aprendo poi la visuale a un lungo corridoio poco illuminato.
"Respira Calum", mi ripetevo, ma ormai era diventato difficile fare anche quello.

Ero cosciente, per quanto strano possa sembrare, che ció che facevo andava contro ogni mio principio, contro ogni limite, ma sapevo altrettanto che non potevo farne a meno, che era diventato il mio essenziale per sopravvivere.
La vita per me era ormai un concetto offuscato dalla nebbia di Chicago che aveva occupato la mia mente, e quindi tanto valeva lasciarsi andare come una palla lungo il pendio di una collina, velocemente e senza poter tornare indietro.

Le mie scarpe rovinate strisciavano contro il linoleum a fatica, quasi volessero tornare indietro, conscie di ció che stava per accadere di lì a poco, ma io avevo imparato ad essere forte e a combattere il mio principale istinto di fuga.

Raggiunta la mia meta bussai tre volte, un piccolo codice, e alla fine entrai.

«Caro vecchio amico»
Quell'attributo mi aveva sempre infastidito, ma detto dalle raggrinzite labbra di quel vecchio dall'aria di chi la sa lunga, mi faceva quasi ridere, e non ci davo peso.

Non risposi, e mi limitai a fare un cenno con la testa.
«Sempre di poche parole.» si avvicinó con la sedia al tavolo e, alzando due dita in aria, diede un silenzioso ordine ai due robusti ragazzi che erano alle sue spalle.
Loro, come me, sapevano ció che dovevano fare e non commentavano.

«Ho quello che ti serve Hood. Ma sta volta ti avviso, devi stare attento.» La sua voce era bassa e tagliente, minacciosa.
Mi si rizzarono i peli sulle braccia e mi limitai ad annuire, cercando di sembrare sicuro di me stesso.
«Ultimamente ti vedo più spesso da queste parti, e non vorrei che tutto a un tratto non venissi più, se capisci ció che intendo dire» continuó portandosi alle labbra un lungo sigaro marrone, apirando per poi far uscire dalla bocca una grigia nuvola di tabacco.

Capivo quello che intendeva, e sapevo che a lui non avrebbe fatto comodo perdere uno come me, quindi presi in considerazione le sue parole e mi promisi che quella volta avrei stretto un po' la cinghia e frenato il mio ardente bisogno.

I due ragazzi rifecero la loro comparsa con due piccole buste sigillate tra le mani, una conteneva della polvere bianca e l'altra era di un colore un po' più scuro, sul verdognolo.
Non scherzava quindi quando aveva detto che era roba tosta. Se avessi esagerato ci avrei rimesso le palle per davvero quella volta.

«Eccoti» uno dei due ragazzi fece scivolare le bustine sul legno finchè non arrivarono proprio sotto il mio naso. Potevo riconoscerne il profumo anche senza avvicinarmi troppo e fui soddisfatto del mio acquisto.
Tirai fuori i soldi e li lasciai sopra il tavolo, alzandomi poi per andarmene.

«Ah e Hood» mi fermai quando sentii il mio nome  «Porta i miei saluti a Clifford»
Continuai a ritroso il cammino che avevo fatto prima per entrare, sentendo nelle orecchie uno strano fischio che sembrava non voler cessare.
In lontananza percepivo le risate di quello che era il boss e dei suoi dipendenti.

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«Lasciami fare» serrai la mascella mentre il ragazzo difronte a me cercava di prendere ció che era mio.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora