-Capitolo 48

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CALUM

Entrai nel freddo box del bagno sudicio in cui vivevo per lavarmi, prima del turno di notte.
Girai la manopolina e piccole schegge di ghiaccio graffiarono la mia pelle. Solo quando riuscii a regolare la temperatura potei tentare di rilassarmi, forse godermi normalmente la doccia e invece no, non ci riuscii.
L'acqua scivolava calda sulle mie spalle picchettando rumorosamente sulla pelle.
«Le farai del male» aveva detto il coglione biondo quella mattina guardandomi con occhi penetranti «E poi toccherà a me consolarla» parlava come se la sapesse lunga. Il ricordo del sangue che ribolliva nelle mie vene era ancora fresco e piegai il collo per bagnarmi il petto.
«Ti sbaglierai prima o poi Hood, tutti commettono errori» parole graffianti contro il mio ego. Davanti a lui ero stato zitto, immobile, perchè sapevo che aveva ragione e che ero io il fesso della situazione; ero io che l'avrei fatta soffrire prima o poi ed ero sempre io ad averla illusa per mesi.
Sciacquai bene il sapone dal corpo sfregando forte contro il cuore, cercando di lavarmi la coscienza.
Restai sotto il getto d'acqua incurante dei soldi che poi avrei dovuto pagare per poterne avere ancora.
Stringevo forte i pugni e conficcavo le poche unghie che avevo nei  palmi, sperando che tutte le mie maledizioni potessero uscire attraverso le piccole fessure che creavo nella carne.
Non potevo vivere con la consapevolezza di ció che mi stavo creando attorno, ma allo stesso modo non potevo mollare la presa, cedere il mio posto a qualcuno di migliore nella vita di Harper, magari a Luke, di certo non potevo, Calum non poteva.
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Uscii ,mezz'ora dopo, gocciolante dalla doccia infilandomi l'accappatoio e guardandomi allo specchio. Poggiai le mani ai lati del lavandino crepato e fissai il mio riflesso, così diverso da pochi mesi prima: le occhiaie erano quasi sparite, avevo solo qualche imperfezione sul viso dovuta allo stress degli esami e avevo acquistato un colorito naturale, non più biancastro come un cadavere; la palestra dava i suoi effetti e stavo meglio. Grazie ad Harper Thomas stava meglio. Grazie ad Harper Calum stava meglio, quindi come avrei mai potuto rinunciare alla quella che era la mia cura? Impensabile.

Mi vestii, non curante degli abiti che avrebbe visto solo Dylan e qualche ubriaco con la vista offuscata. Raccolsi le chiavi e le dosi che nascondevo sulla rete del letto infilando tutto nelle tasche del giubbotto che indossai prima di lasciarmi l'appartamento alle spalle.

Mi guardavo attorno, ammirando come Chicago si trasformasse la notte, abbandonando il grigio e accogliendo le luci vivaci della città che in lontananza delineavano lo skyline del centro. Pestai le foglie afflosciate dalla neve e bagnate dalla pioggia, mi raggomitolai sulla stoffa pesante della giacca susseguendo pesanti passi fino all'incrocio di Bakery Way dove il moro mi aspettava, seduto sugli scalini di una casa abitata probabilmente da qualche straniero, in modo illegale. Chi mai vivrebbe in questa parte della città?

«Amico» strisciò sul cemento, facendomi spazio, ma io restai in piedi con le mani nelle tasche dei jeans neri.
«Un tiro?» mi porse la sigaretta che si tolse dalle labbra con la cenere consumata. Lo guardai e, senza staccare lo sguardo dal suo, presi il mio pacchetto di Marlboro e mi infilai il filtro in bocca.
«Qui qualcuno è di cattivo umore» canzonò spegnendo il mozzicone sulla strada ingiallita dai lampioni.

«Eccolo» dissi piegando la testa verso un uomo che, traballante, correva verso di noi. «Uff, diamogli questo, almeno non rischierà di morire» prese una piccola bustina di plasica dalla felpa.
«Cos'è?» chiesi sentendo i passi del disperato sempre più vicini.
«Farina» sorrise piegando la busta «Guardalo bene, non avrà nemmeno vent'anni» indicò la sagoma che, ormai vicina, distingueva il volto giovane di un ragazzo distrutto. «Possiamo farlo?» chiesi incerto avvicinandomi allo sconosciuto
«Gli stiamo salvando la vita, Calum».

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I capelli sugli occhi cominciavano a infastidirmi, li avrei tagliati prima o poi. La luce del sole mattutino entrava dalla finestra creando spicchi chiari nella mia piccola stanza.
«Buongiorno Calum» mi dissi allo specchio sorridendo.
Trotterellai fino alla cucina dove del latte, non scaduto, aspettava di essere scaldato e bevuto per la prima volta dopo mesi. «Biiiiscotti» canticchiai aprendo la dispensa.
Mi sedetti al tavolo e accesi la tv contento di sentire le news da una gentile giornalista nello schermo, facendo contemporaneamente colazione.
Scelsi accuratamente jeans puliti e una felpa della mia misura da indossare quel giorno. Arrivai in bagno e sistemai la chioma scura che avevo in testa e mi misi le scarpe.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora