-Capitolo 23

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HARPER

Erano due giorni che Thomas non si presentava a scuola, non che ci facessi caso, ma lo avevo notato.

Il ragazzo della mattina precedente, Dylan, continuava a ripresentarsi nei miei pensieri con il nome di Calum, lo stesso pronunciato da Luke alcune settimane prima. Possibile che non mi fossi accorta di qualche compagno di corso con questo nome? Non che conoscessi molti ragazzi, probabilmente non avevo mai prestato troppa attenzione a quelle cose. Avrei fatto delle ricerche nei giorni successivi durante le lezioni.

Finii così per picchiettare le mie scarpe lungo i corridoi dell'istituto e passare affianco alle persone senza nemmeno rendermene conto.

Salii in autobus, diretta da Wordy's per il mio turno serale. La pioggerella leggera era quel giorno accompagnata da alcuni batuffoli di neve che si scioglievano lungo il vetro accanto al mio sedile. Con le dita tracciai delle linee astratte sul finestrino e mi persi ad osservare come la luce del sole del tardo pomeriggio lasciasse lo spazio a quelle artificiali di slanciati lampioni.
Riconobbi la strada che portava al locale e mi affrettai a prenotare la mia fermata.

Sbuffai quando le porte automatiche si aprirono: ero davvero stanca e il solo pensiero di passare le prossime ore al locale mi snervava. Scesi rapidamente e corsi fino alla porta del bar.

«Guarda chi c'è qui» la voce di Cameron era accompagnata dal rumore di alcuni bicchieri di vetro che sbattevano sul bancone. Alzai il capo e lo salutai con un cenno, per poi correre nello stanzino.

Mi sedetti sulla panchina accanto al muro e mi portai una mano alla fronte tentando stupidamente di placare il mal di testa. Presi il grembiule nero e lo legai ai fianchi, allacciai bene le Converse e poi strinsi i capelli in una coda alta.
Forse mi alzai troppo in fretta perchè la testa prese a girarmi e per poco non caddi nuovamente sulla panchina.
«Dai Harper, solo un paio d'ore» mi rassicurai tra me e me.

Rientrai in sala e presi il vassoio posto sul bancone con i bicchieri pieni, che mi affrettai a servire al tavolo.
«Tutto bene? Non hai una bella cera» il moro agitava lo shaker per un drink mentre mi fissava.
«Tutto ok, è solo stanchezza» tirai un sorriso e continuai con il mio lavoro.

Caffè, drink, birre, shot e aperitivi. Sembrava che ogni giovane ragazzo di Chicago dovesse passare di qui almeno una volta quella sera e la mia testa cominciava a pulsare fuori ogni sopportazione.
Cosa  sarebbe costato loro correre verso casa, preparare un the scaldando l'acqua al microonde e sdraiarsi sul divano? Di certo io l'avrei fatto, se solo questi soldi non mi servissero per pagare tutte le scartoffie del mese.

Il via vai di clienti diminuì di poco alla volta e decisi di poggiarmi per un momento al tavolo che stavo pulendo per tranquillizzarmi un po'.

Arrivó Cameron da dietro, mi prese per i fianchi e mi giró contro di lui. Non feci a tempo a riaprire gli occhi che avevo chiuso per lo stupore, quando pressó le labbra contro la mia fronte per qualche secondo «Che fai, scemo» risi divincolandomi dalle sue braccia
«Harper, tu scotti» incroció le sopracciglia e indietreggió.

«Vai a casa, finisco io qui» si voltó e tornó al banco a servire una coppia di adolescenti.

«Non se ne parla. Hai visto quanta gente c'è oggi? Non ti lascio da solo e poi è solo un po' di mal di testa» minimizzai il tutto con il gesto della mano.

Feci per prendere una bottiglia dagli scaffali, ma bloccó il mio polso con un gesto rapido.
«Harper. Vai a casa» strinse la presa e io mi morsi l'interno della guancia per poi annuire.
Aveva vinto lui.
Dopo essermi assicurata di aver preso tutto mi avviai verso l'uscita.
Allacciai per bene il mio giubbotto e legai la sciarpa.
«Testardo come pochi» baciai la guancia a Cameron e raggiunsi a grandi falcate la porta.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora