-Capitolo 12

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HARPER

Quella notte dormimmo si e no un paio d'ore.
La mattina seguente sembravamo appena uscite da "The Wolking Dead".

«Harper tocca a te andare in bagno» gridó la mia amica che era appena tornata.
Il brutto dei dormitori a scuola era il bagno comune. Oltre che al rischio di avere una strega per conquilina, e sentire costantemente le porte sbattere dopo che qualche studente ubriaco fa ritorno da una serata con gli amici e... Okay, fa tutto schifo.
Mentre uscii dalla stanza di Talìta ringraziai mentalmente mia mamma di avermi comprato l'appartamento tutto per me.

Raggiunsi il corridoio strofinandomi gli occhi. Con lo sguardo basso vidi avvicinarsi un paio di piedi nudi, probabilmente appena usciti dalla doccia a causa delle goccioline che si lascivano dietro, e alzai lo sguardo per vedere chi fosse : Un Luke in accappatoio si trascinava verso la sua stanza svogliato.
Appena mi vide, peró, sembró animarsi e con un sorriso sgargiante disse «Sicura di non essere tu a seguire me?»
Arrossii senza motivo e «Sta zitto va'» dissi superandolo.
Nonostante la sua battuta seppi che nell'istante stesso in cui l'ebbi oltrepassato lui si voltó e continuó a seguirmi con lo sguardo fin quando non entrai dalla porta del bagno.
Finii quello che dovevo fare, tornai velocemente in stanza ben truccata e pettinata.
Infilai i jeans lunghi e la camicia bianca che portai da casa, afferrai i libri e mi affiancai a Talìta che mi aspettava all'uscio.

L'acquazzone di ieri si era calmato durante la notte, ma le pozzanghere e le sfumature grigie che dipingevano il sole davano tutta l'aria che sarebbe tornato di lí a qualche ora.

Camminammo lungo i corridoi aperti che delineavano la struttura dell'università e durante la breve passeggiata mi preoccupai di interrogare Talìta in Economia, dato che avrebbe avuto presto un esame importante ed in quella materia peccava un po'.

Lasciai la mia amica davanti alla sua classe, mi abbracciò e mi sorrise felicemente nascondendosi poi oltre la porta scura.

Tamburellai le dite sulla stoffa dei miei jeans mentre aspettavo che il professore facesse la sua entrata. Questa volta scelsi il posto accanto alla finestra dato che, non conoscendo nessuno in questo corso, perdermi a guardare gli alberi spogliarsi delle foglie e piegarsi contro il volere del vento era uno dei miei passatempi preferiti.

Un brusio di sottofondo mi fece tornare alla stupida e noiosa realtà, mi costrinsi a sembrare interessata e mi concentrai sulle parole dell'uomo dietro la cattedra.

I cinquanta minuti sembrarono non finire mai, e mi ritrovai spesso ad accendere il cellulare per vedere l'ora.

Allo squillo della campanella un sonoro sospiro di sollievo si levó nella classe e tutti gli studenti si affrettarono a uscire.

I corridoi erano affollati, e fu difficile farsi spazio per raggiungere una parete al fine di appoggiare la tracolla pesante e aspettare l'ora sucessiva. Dieci minuti.

Mi piegai per allacciarmi la scarpa e appena mi alzai togliendo i capelli dal viso incontrai gli occhi color nocciola di Thomas fissarmi speranzoso.

Rigirava tra le mani l'angolo del pesante libro di biologia che intuii avere l'ora successiva.
Lo sguardo basso, occhiaie profonde e cappello abbassato sulla fronte caratterizzavano il suo viso.

«Thomas, ciao» portai le mani ai fianchi, evitando il suo sguardo e puntandolo esattamente alla finestra alle sue spalle.
«Harper» accennò ad un piccolo sorriso, gli occhi ancora a fissare il pavimento.
«Possiamo parlare?» continuò, guardandomi finalmente; scorsi un velo di stanchezza nelle pupille scure.
«Come no, ti ascolto»
«Mi dispiace, Harper. Davvero. Non volevo lasciarti lì sabato, sono stato uno sciocco e me ne pento tanto» qualcosa mi diceva che "sciocco" non era stata la sua prima scelta, ma aveva cercato di sembrare gentile in mia presenza. Sorrisi mentalmente e continuai ad ascoltare il suo disvorso «Ho sbagliato a mancarti di rispetto e non aver mantenuto la mia parola, immagino che tu non voglia più lavorare con me, perdonami.» stava letteralmente torturando il lembo della pagina del suo libro.
Erano sincere le sue parole, potevo leggere il suo dispiacere e mi sentii quasi in colpa per non averlo perdonato prima.
«È okay, non importa. Non sono arrabbiata con te, magari ti ho messo a disagio dato che era qualcosa di nuovo» alzai le spalle e alleggerii la mia espressione contratta.
«Mi serve il tuo aiuto, intendo, questo lavoro. Ho bisogno di soldi: a casa mia il denaro scarseggia e mi spiace dover essere mantenuto dai miei genitori» disse puntando dritto lo sguardo sui miei azzurri e freddi occhi e per un momento temetti che potesse sciogliermi le iridi con una sola occhiata.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora