-Capitolo 52

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CALUM

«Oh finalmente! Sei in ritardo»
Dylan era seduto sullo zerbino della mia catapecchia, con jeans scuri e camicia nera.
«Chiudi il becco» lo liquidai prima di entrare nell'appartamento e gettare a terra le chiavi.

Sentii i passi trascinati del ragazzo dietro di me e le mie speranze che se ne fosse andato vennero meno. Sbuffai e sbattei la porta della mia stanza, facendogli intuire che se ne doveva stare ben fuori.

Aprii i cassetti cigolanti delle cassettiere in cerca di abiti eleganti che non possedevo, ma comunque sperando in un opera divina che potesse far apparire  un vestito davanti.

«Toc Toc» entrò il furetto e lo incenerii con lo sguardo «Esci» dissi secco.
Possibile che non abbia mai sentito parlare di "privacy"?
«Guarda cos' ho qui» cantilenò lui facendo dondolare una giacca nera da una stampella dalla quale calavano anche un paio di pantaloni eleganti e stirati.
Okay, forse lo avevo sottovalutato, ma ad ogni modo non feci alcun passo indietro per darglielo a vedere.

«Stronzo» gli strappai di mano i vestiti e li lanciai sul letto, cominciando a togliermi la maglia «Direi che 'Grazie Dylan te ne sono grato' suonerebbe meglio, ma mi accontento» alzò le spalle e uscí, lasciandomi solo nella stanza.

Decisi così di farmi una rapida doccia, per essere perfetto nel giorno perfetto della mia ragazza perfetta.

Entrai in bagno e azionai subito l'acqua calda dal getto, in modo che fosse ad una temperatura media.
Iniziai a strofinare forte contro il petto e le braccia, togliendo tutto ció che di sporco mi copriva, e allo stesso tempo i resti della serata precedente. Cristo, quella serata.

Iniziai forse a canticchiare lievemente mentre nella testa balenavano scene di quella sera, di quelle mani su tutto il corpo, di piccoli gemiti sommessi e di baci sul collo.
«Porca troia Harper» dissi più a me stesso che a lei ovviamente, tornando a sciacquare lo shampoo dai capelli e sorridendo tra me e me.

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Giacca, camicia nera e dei bei pantaloni.
Calum, sei tu?
Stavo davvero bene, con i capelli curati e i vestiti eleganti sembravo un ragazzo normale ed ero pronto ad affiancare Harper nel suo giorno. Suonava come fosse un fottuto matrimonio, e la cosa mi eccittava non poco. «Calum che al fianco di Harper» mi ripetevo come un mantra solo per poi rendermi conto che mai e poi mai Calum avrebbe dovuto anche solo sfiorare Harper. Stavo viaggiando troppo con l'immaginazione quindi, dandomi un pizzicotto, tornai alla vita reale.

«Scendiamo?» la voce del moro mi fece voltare velocemente
«Sei ancora qui?» chiesi scocciato.
«Ehm.. Si? Non posso mancare alla mostra di Harper» disse in tono ovvio.
«Serio?» chiesi aggrottando le sopracciglia sorpreso, riferendomi al suo neorapporto di amicizia con la mia Harper.
«Si, serio. E se non vuoi restare in calzini e mutande è meglio che ti togli quell'espressione sorpresa dal viso e che muoviamo il culo alla mostra.»
Mi diede un buffetto sulla guancia e mi fece l'occhiolino.

Presi un respiro profondo, lo trafissi con lo sguardo e mi lisciai la giacca prima di uscire dall'appartamento e dirigermi all'auto.

Davanti a me, Dylan mise in moto la sua auto e la guidó fino alla galleria a una decina di minuti dall'appartamento.
Mi sudavano le mani e il cuore mi batteva all'impazzata, ero nervoso ma non vedevo l'ora di vedere realizzato il sogno di Harper.

«Hey amico, calmati» mi sentii dire più volte da Dylan, che tamburellava rilassato le dita sul volante, ma le mie mani non ne volevano sentire di mollare la presa sulla stoffa dei pantaloni e calmarsi.

Arrivati, ad accoglierci fu uno spettacolo a dir poco esagerato: lussuose macchine perfettamente lucidate erano parcheggiate nei parcheggi pululanti poco distanti dall'entrata, e numerose guardie erano posti difronte ad esse e ai portoni d'entrata dell'eccellente galleria. Centinaia di persone vestite e adorne di tutto punto ticchettavano le loro scarpe di marca sul marciapiede, sorseggiando ottimo Champagne. Il tutto incorniciato da vistuosi fiori profumati e una grande fontana che ospitava al centro un'enorme statua in marmo.
Solo guardando come le persone si atteggiavano con disinvoltura dentro quel quadro mi fece capire quanto non fossi adatto a quel luogo, e il disagio che mi invase ne era la prova.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora