-Capitolo 25

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CALUM

La mia sporca boccaccia non riusciva a tacere, mai. Come avevo potuto dirle che ci sarei stato alla sua mostra? Speravo solamente che la serata precedente fosse servita ad annebbiarle i ricordi perchè sapevo che era una promessa che non avrei mai mantenuto, eppure quei suoi occhi cosí luminosi dopo che io proferii quella frase mi fecero scuotere dentro qualcosa di incomprensibile: sembrava una bambina e il suo volto mi scaldò il cuore.

E non parlo da Thomas. Lei aveva  scaldato il cuore freddo di Calum.

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Quella mattina il furetto sarebbe passato a prendersi la macchina, peccato che la voglia di vedere qualcuno si era completamente fottuta insieme al mio buon senso.

Scaldai dell'acqua per poi infilarci la bustina di the e scivolai sotto la coperta rovinata e poggiata malamente sul divano per scaldarmi. Guardai di fronte a me la grande finestra contornata dalle tende troppo corte, dalla quale filtravano gli scuri raggi del sole nascosto da nuvole piovane.
Imprecai quando mi scottai la lingua a contatto con l'acqua troppo calda e poi ritornai a far finta di guardare la televisione spenta.

La pioggia ticchettava sul tetto del palazzo e la potevo sentire cadere sull'asfalto della strada, era il mio suono preferito, oltre a quello della voce di Harper.

Ma che cazzo dico? Da quando in qua avevo dei suoni preferiti?
Strizzai gli occhi spazientito e poggiai per terra la tazza di the, poi mi alzai per andare in camera a togliermi il pigiama e infilarmi frettolosamente un paio di pantaloni della tuta. Mi facevano male le ossa, e maledii l'umiditá che serviva solo ad aumentare i miei problemi. Tutto sembrava voler far aumentare i miei problemi. Se mi fossi chiamato Jack? O Samuel, il destino avrebbe smesso di prendersi gioco di me?

Vicino al comodino ammaccato vidi il mio telefono in carica, un messaggio illuminava lo schermo ma non prestai attenzione al suo contenuto, uscii dalla stanza e accesi la tv concentrandomi sul cartone animato che trasmetteva la via cavo.

Passarono all'incirca quaranta minuti di puro divertimento e risate sfrenate davanti ai looney tunes, quando il citofono suonò.

Ero ironico, odio la disney.

«Chi è?» chiesi con voce più roca di quanto volessi.
«Ehm, sono io» voce acuta, angelica e timida. Come è arrivata Harper qui?
Schiacciai il pulsante accanto al muro e le aprii la porta d'ingresso, attendendola sulla soglia del mio imbarazzante e disordinato monolocale.

«Come sei arrivata qui?» le chiesi, ma lei mi avvolse in un abbraccio che mi destabilizzó.
«In autobus, avevi dubbi?» scherzó spostando il peso da un piede all'altro dei suoi stivali.

Aveva i capelli bagnati dalla pioggia e il trucco leggermente colato, ma era bellissima. Smisi di fissarla appena la vidi arrossire e voltare in basso il suo sguardo.

«Intendevo.. Come sapevi dove abitavo?» ampliai l'accesso del mio appartamento in modo che si potesse accomodare e così fece, entrando lentamente in cucina.

«È stato Dylan, l'ho incontrato per strada. Ti avevo inviato un messaggio poco più di un'ora fa, credevo fossi d'accordo con me, quindi eccomi qui» alzó le spalle e il suo sorriso mi arrivó dritto al petto come una carezza al cuore.

«Aspetta, Dylan?» cercai di recuperare i vari punti del suo discorso per capire il motivo della sua visita.

«Esatto. A dire il vero le sue esatte parole sono state 'Se cerchi Thom, vive a Longer Street, in un orrendo palazzo. Ci si vede fiorellino' ma in sostanza era quello» rabbrividii per quell'orribile diminutivo da scuole elementari.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora