-Capitolo 6

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CALUM

Il suono snervante del campanello del mio monolocale mi risvegliò dalla trance nella quale mi ero perso finendo di rileggere i miei appunti di storia segnati quella mattina.

Mi alzai pigramente dal divano malandato, posai i fogli per terra e mi affrettai ad aprire la porta d'ingresso.

Sul pianerottolo dell'appartamento troneggiava un ragazzo con piercing e pochi tatuaggi, con un'allegra espressione in volto e un sorriso appena accennato sulle labbra.

«Calum!» agitò una mano per salutarmi, mentre io ancora dovevo capire cosa diavolo ci facesse a casa mia alle 10.00pm

«Dylan..?»
«In persona! Non mi fai entrare?» scherzò nascondendo le mani nel tessuto dei suoi jeans scuri e sporgendo il collo in avanti, ammiccando verso il salotto dell'appartamento.

«Cosa vuoi?» aprii la porta in modo che si potesse accomodare e si gettò sul divano, facendo scendere i cuscini sotto il suo peso.

«Michael. Dice che dobbiamo vendere la roba stasera» si voltò a petto in sù, fissando il soffitto.

«Ma è sabato. Di sabato non lavoro» mi passai una mano tra i capelli scompigliati e arrivai in cucina versandomi un bicchiere d'acqua.

«Ordini dei piani alti. A Chicago non si sceglie, si obbedisce» tornò nella sua posizione eretta e mi ritrovai costretto ad annuire.

Scivolai nella mia stanza, dove mi munii di capello e felpa sentendo la continua presenza di Dylan perseguitarmi, tanto che la cosa cominciò a infastidirmi.

Uscii di casa chiudendo a chiave la serratura. Ci recammo fuori, dove i lampioni presero ad ingiallire le strade ed il rumore dei motori mi fece tremare i timpani.

«Ce l'hai tu?» ero convinto sapesse a cosa io stessi alludendo.
Si guardó in giro e, quando fu sicuro che nessuno potesse vederci, estrasse alcune dosi di polvere bianca dalla tasca posteriore dei pantaloni.

Scossi il capo e lo seguii per alcune delle vie oscurate, dove nemmeno i lampioni osavano illuminare, ed era meglio cosí.

Una ragazza ci stava aspettando, con uno striminzito vestito nero ad avvolgerle le curve. Possibile che non fosse giá morta congelata?

«Quanto vi devo?» fece uscire le parole mentre incatenava lo sguardo negli occhi scuri di Dylan, alla mia destra.
«150»
«Michael ha aumentato il valore della sua roba» ghignó estraendo le banconote da una piccola borsa scura.
«Ma questa è roba buona, roba che vale ogni dollaro, piccola»

Per tutta la loro conversazione, me ne stetti zitto a guardare come quella ragazza dai capelli rossicci si stesse distruggendo, sniffando cocaina proprio davanti ai nostri occhi. Sembrava una professionista, le sue azioni erano quasi naturali, quasi normali.

La lasciammo lì, in preda ad una crisi, ma il ragazzo accanto a me non sembró curarsene, quindi non vidi il motivo per cui dovessi farlo io.

Vendemmo circa altre quattro dosi quella notte, a uomini di mezza età che erano stanchi della loro vita e cercavano di farla finita e ad altrettanti celebrolesi poco più grandi di me e Dylan.

Mi si strinse il cuore a dare la nostra ultima bustina ad un ragazzo. Avrà avuto appena sedici anni, e sembró un novellino, probabilmente era la prima volta.
Non sapeva come funzionava, non sapeva che una volta entrato nel vortice di quel mondo, uscire era fin troppo complicato, se non impossibile.

Non avevo idea di come avesse ottenuto i soldi che ci diede ma a me, personalmente, importava ben poco, quindi glieli strappai quasi di mano e poi lo vidi scappare dietro alcuni alberi spogli.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora