-Capitolo 1

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HARPER

Terminai le lezioni; presi i corsi tra le mani e mi avviai verso la fermata degli autobus, facendo attenzione a non scivolare in qualche pozzanghera.

Salita, mi sedetti al solito posto nonostante il mezzo gremito di gente: le cuffiette nelle orecchie e una guancia appoggiata al finestrino.

Molta gente odierebbe la mia Chicago, la pioggia perenne e il vento imperturbabile avrebbero potuto annoiare chiunque, ma a me piaceva, mi rispecchiava.
Una ragazza un po' timida come me era in perfetta sintonia con una cittá simile.
Un vivace viavai di gente e risate all'aria, dita incrociate e persone felici.
Il tragitto fino al bar dove lavoravo duró come sempre venti minuti, e quasi non mi accorsi dell'arrivo.

Era un locale modesto e intimo, non molti tavoli erano presenti; ci si poteva sedere su comodi divanetti ad angolo o rilassarsi leggendo alcuni volumi moderni, messi a disposizione su degli scaffali. Era cosí che passavo gli ultimi minuti del mio turno giornaliero al Wordy's.

Mi affrettai a lasciare le mie cose nello sgabuzzino e, arrivata dietro al bancone, Cameron, il mio collega, mi aiutò ad allacciare il grembiule dietro la schiena.
Subito mi ritrovai a servire alcuni clienti entrati freneticamente in seguito ad uno dei soliti temporali autunnali.

Cameron di tanto in tanto fece qualche battuta per rallegrarmi e, passate le 8:00pm, mi concessi una cioccolata calda, seduta sugli sgabelli del bancone di fronte alla grande vetrata del locale.

Raccolsi le mie cose e le portai in sala, aprii la cerniera della borsa e presi la mia Canon.

Le gocce che scendevano lungo la finestra rendevano i soggetti inquadrati piú suggestivi e mi affrettai a scattare una foto.

La voce di Cameron mi riportó alla realtá e mi voltai sorridendogli
«Potrei immaginare l'ennesima foto che hai scattato, ma mi trattengo»
Gli diedi un'amichevole pacca sulla spalla.
«Stupido» scherzai mentre lo vidi prendere posto accanto a me.
Il locale era ormai vuoto, Louis Armstrong finiva di suonare uno dei suoi pezzi jazz attraverso il giradischi e la pioggia non sembrava voler cessare.

«Ho deciso: stasera ti porto in un locale» battè il bicchiere sul bancone e sfoderó uno dei suoi sorrisi.
«Non credo proprio» mi voltai a rimettere la macchina fotografica nella sua custodia.
«Oh andiamo! Da quanto non esci?»
Non risposi, pensando che la data risaliva all'ultima festa con Jordan, qualche mese prima.
Accorgendosi del mio disagio, riprese scherzosamente la conversazione
«Passo verso le 10.00pm»
Mi trovai costretta ad annuire, prima di infilarmi la felpa, alzare il cappuccio e uscire per tornare a casa.

CALUM

Arrivai a Chicago, la città di cui mi aveva molto parlato il giro di amici che avevo a casa, a Nashville.

Pensai che mi sarei ambientato facilmente, dato il clima movimentato che animava le strade. Sarebbe stato più facile passare inosservato.

Ormai funzionava cosí da tre anni: arrivavo in una città e questa doveva fungere da nascondiglio. Stavolta però avevo scelto un luogo ben protetto sperando di non dovermi muovere nuovamente.

Mi sedetti sotto il primo porticato coperto che trovai e aspettai l'arrivo del nuovo boss con cui avrei avuto a che fare.

Nel frattempo mi concessi uno sguardo intorno. Gente avvolta in cappotti e sciarpe che, brontolando, si muoveva veloce, altri come me si fermavano a parlare al cellulare sotto spazi coperti e alcuni, addirittura, si permettevano una sosta nel locale dall'altra parte della strada, che immaginai chiamarsi "Wordy's" grazie all'insegna illuminata.

Mi raggomitolai nella mia felpa con l'intento di scaldarmi e abbassai il cappello sulle orecchie quando un'ombra attiró la mia attenzione.

Un ragazzo, forse di un paio d'anni più grande, si stagliava difronte a me e con fare autoritario sbottó «Tu devi essere Calum, giusto?»
«Esatto» risposi incontrando i suoi occhi scuri che mi invitarono ad alzarmi.
Cosí feci. Sapevo che il mio compito era di seguirlo per incontrare gli altri, ma preferii comunque tenermi a un paio di passi di distanza da lui.

HARPER

Puntualmente Cameron suonó al campanello e, salendo due a due le scale, raggiunse il mio appartamento.

Avevo ancora l'asciugamano che mi avvolgeva i capelli quando fece capolino dalla porta
«Hey principessa, non sei ancora pronta?»
Sbuffando ritornai in bagno per lisciarmi le lunghe ciocche nere.

Finito di indossare il mio semplice tubino nero, allacciai gli stivaletti e ritornai da Cameron.

Si era servito un bicchiere d'acqua e vedendomi si lamentò «Era ora, muoviamoci»
Roteai gli occhi al cielo e, presa la mia borsa munita di Nikon, scivolai verso la porta.
Indicando la custodia della macchinetta Cameron disse «Ti prego, non farai sul serio?»
Risi, tornai in stanza, e vedendolo di spalle la rimpiazzai con una digitale dentro la pochette.

Parcheggió l'auto poco distante dal pub e mi aiutó a scendere.
Cam era un ragazzo sempre pronto a fare una battuta e, nonostante ció, molto educato ed intelligente. Seguiva i miei stessi corsi, solo che era al terzo anno.
Era una delle poche persone dalle quali non mi isolavo, proprio perchè non era invadente ma riusciva comunque a mettermi a mio agio.

«Cosa ordini, Harper?» mi chiese prendendo posto in una delle panchine del locale.
«Un drink, fai tu» mi strinsi nelle spalle e mi appoggiai allo schienale.
«Animo!» esclamó il moro,mentre la cameriera prendeva nota dei drink che aveva ordinato.
Mi strappó un sorriso e cominciammo a parlare dell'università, venendo interrotti dalla sola ragazza che arrivó con un vassoio e un paio di drink dal liquido arancione, che mi porse davanti.
«Come si chiama?» chiesi prendendone un piccolo sorso, mentre un immediato bruciore mi pervase la gola.
«Non ricordo, a dire il vero. Ma non è male, no?» sorrise bevendolo fino all'ultima goccia.
Lo bevvi tutto, mentre un brivido mi percosse e sentii il volume della musica aumentare ogni secondo di più. Agitai involontariamente le spalle a ritmo di una canzone che non riconobbi e mi accorsi di un ghigno farsi spazio sul viso di Cameron.
«Vuoi ballare?» chiese allungandomi una mano. Non ci pensai; mi alzai e mi precipitai nella pista dove la gente si scatenava in movimenti casuali, agitando le braccia e muovendo i fianchi.
Mi unii al resto dei ragazzi, seguita dal mio amico che balló insieme a me, continuando a bere qualche shot ordinato al momento.
Sentii la testa scoppiarmi, e decisi di tornare a sedermi per rilassarmi un po'. Cam continuava a scatenarsi, e ci provó spudoratamente con una biondina che gli ballava accanto; era una scena alquanto esilarante. Finii il mio primo drink, quando lui tornó al tavolo

«Andiamo?» annuii e camminammo fuori dal pub, il cui volume della musica cominciava a farmi pulsare la testa.

Saltai nel posto del passeggero, Cameron accese il motore e uscì dal parcheggio. Il mio sguardo si soffermó sul paesaggio fuori dal finestrino: i palazzi di Chicago si susseguivano veloci, sotto le luci fioche dei lampioni allineati lungo la strada. Aprii la pochette ed estrassi la piccola macchina digitale.
«Non ci credo» sbuffó Cam vicino a me; lo ignorai e puntai il mio obiettivo sull'asfalto bagnato. Poca gente si permetteva di camminare durante la notte, per le vie buie, infatti i ragazzi che le vidi popolare quella sera, nel tragitto fino a casa mia, si potevano contare sulle dita di una mano.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora