-Capitolo 5

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HARPER

Sabato le lezioni iniziarono con biologia. Non amo molto lavorare con batteri e microorganismi, peró quel corso era obbligatorio per avere crediti in piú.

Al mio solito posto, mi divincolai sulla sedia cercando di non guardare la povera rana dissezionata sopra il banco.
La Signora Curren stava spiegando qualcosa, utilizzando tanti termini tecnici che mi fecero solo confondere, quindi rinunciai a seguire la spiegazione e posai l'attenzione verso il mio astuccio, alla mia sinistra.

Sentii uno sguardo pesare alle mie spalle ma non mi voltai subito.
Dopo mezzo minuto la sensazione non passó, e allora, pregando di essermi solamente sbagliata, mi girai di scatto nella presunta direzione dell'osservatore.
Vidi il biondino del corridoio chinare immediatamente il capo e mi domandai quale fosse la ragione del suo sguardo indagatore.
Mi rimisi composta e convinsi me stessa che mi stavo sbagliando.

Durante i quaranta minuti restanti quell'impressione di essere osservata non scemó, ma cercai di non darle peso e invece scarabocchiai su un foglietto.

Pensai al corso di fotografia e a che modelli avrei dovuto utilizzare per impressionare gli spettatori. Quel ragazzo si era comportato abbastanza da stronzo con me. O forse mi aveva presa per una pazza che gli chiedeva di fargli foto? Probabile.
Infondo, mi ero precipitata da lui senza nemmeno conoscerlo, e da come si presentava a prima vista, non sembrava un ragazzo molto eloquente e disponibile al dialogo.

Mentre finivo il mio disegnetto, e ripensavo alla prima impressione che il ragazzo deve aver avuto di me, il peso sulla schiena non cessa quindi mi girai nuovamente. Questa volta gli occhi azzurri del ragazzo puntarono ai miei color ghiaccio. Uno scontro di occhi, mi dissi.
Restó cosí per un po' e nemmeno io mossi un muscolo. Forse qualche secondo di troppo, e io mi sentii intrappolata da quello sguardo. Sembrava cercasse qualcosa. Sembrava cercasse davvero di intrappolarmi.
Un sorriso sbilenco si formó sul suo viso.
Mi stava prendendo in giro?
Arrossii, e mi rigirai di scatto nello stesso istante in cui la campanella suonó e la professoressa si raccomandó di imparare bene i termini che aveva enunciato quella mattina.
Avrei chiesto gli appunti a qualcuno.

Presi la mia borsa, infilai dentro i fogli bianchi, la penna, l'astuccio e stropicciai il foglietto che avevo scarabocchiato.
Vidi il ragazzo biondo passarmi accanto, lasciandosi dietro un profumo di colonia. Avrei associato quel profumo a lui e ai suoi occhi.
Scossi la testa e mi alzai dal mio posto con fare indaffarato.

Uscita in corridoio posai la tracolla su una spalla, pesava abbastanza quel giorno, e mi sentivo un po' sbilanciata.
Camminai sul lato delle grandi finestre osservando il giardino che circondava il campus. Era una visuale rilassante. Vidi passare alcuni studenti, anche loro appoggiati su una gamba per il peso degli zaini, alcuni professori sorseggiare il caffé, le segretarie negli uffici dall'altra parte del giardino rispondere al telefono.. Il tempo di battere le ciglia e aprire nuovamente gli occhi, un nuovo soggetto si posó di fronte a me, fuori, appoggiato ad una colonna, con fare noncurante. Sapevo chi fosse: il ragazzo di ieri. Ora avevo scoperto che frequentava la mia stessa scuola, magnifico.
Avrei potuto scattargli delle foto di nascosto, ma poi alla mostra, se mai si fosse fatto vivo, mi avrebbe scoperta, e non volevo avere nuovamente i suoi tenebrosi occhi puntati nei miei.
Dovevo convincerlo. Mi serviva un modello, e sapevo che quelle sensazioni che emanava lui, non le avrei mai trovate in nessun'altro. Quel mistero che lo avvolgeva come la nebbia mattutina, quella postura tesa e noncurante allo stesso tempo. Quella nostalgia che gli lessi negli occhi il giorno precedente e tutto ció che lo rappresentava, avevo bisogno che fossero intrappolate nelle mie foto.
Avrei trovato un modo.
Magari adesso era di buon umore e avrei potuto riprovarci.

Mi diressi con passo svelto verso la prima uscita, senza perderlo di vista. Sembravo un cammello galoppante ma non m'importava, svoltai l'angolo e venni investita da un corpo simile al mio. Mille ciocche di capelli ricci mi finirono sul viso prima che la ragazza si spostasse. L'avrei riconosciuta ovunque.
«Talíta, ehy ciao, io...»
Non mi lasció finire, mi stampó un bacio sulla guancia, lasciandomi sicuramente il segno del rossetto, e prendendomi per le spalle disse «Tesoro io e te domani andiamo a fare compere. Mi sono accorta che il mio vestito dell'anno scorso è abbastanza uno schifo. E tu, sempre dietro a una macchinetta fotografica, sicuramente non ti sei mai preoccupata di andare ad una festa in maschera»
Cercai di interromperla «Non è ver..» ma lei riprese imperterrita «Bando alle ciance. Io e te, domani andiamo al centro commerciale. Guai se fiati. Sceglieró io l'outfit giusto per entrambe. Tu mi servi solo per controllare le taglie. Ah, dimenticavo, la festa è mercoledì sera, passa Bradly a prenderci. Ora ho lezione, ci vediamo»
E dopo avermi fatto l'occhiolino proseguì picchiettando con gli stivaletti sul pavimento.

Mi poggiai a uno scorrimano, guardai fuori dalla finestra ma il ragazzo di prima era ormai andato. Talíta e il suo ottimo tempismo.
Uscii ugualmente, per oggi avevo finito con le lezioni.

Prima di lasciare il porticato della scuola mi voltai un'ultima volta per vedere se qualcuno, quel qualcuno, mi stesse seguendo. Vidi solo un'ombra nascondersi dietro le colonne. Sbuffai e proseguii il cammino.

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Quel giorno decisi di camminare fino al bar, un po' di aria fresca non mi avrebbe di certo fatto male.
Per Chicago, a quell'ora del primo pomeriggio, solo pochi ragazzi popolavano i marciapiedi, la maggior parte dei passanti erano bimbi che tornavano dall'asilo o turisti che con sguardo ammiranti si voltavano verso gli imponenti palazzi della città.

Ci volle circa un'oretta per arrivare da Wordy's, ma la camminata non mi pesó. Il venticello che soffiava in quella giornata di fine ottobre mi accarezzava piacevolmente la pelle, e il calore sprigionato dai miei vestiti pesanti mi coccolava perfettamente.

Aprii la pesante porta del bar, sentendo tintinnare il campanellino sopra la porta e udendo quasi immediatamente la rilassante musica jazz riempire l'intero locale.

Istintivamente portai la mia attenzione a Cameron dietro il bancone che chiacchierava allegramente con una ragazza dai lunghi capelli biondi, voltata di spalle.

Quando il moro si accorse della mia presenza accennó un saluto con la mano, al quale risposi con un sorriso malizioso, prima di correre nel retro e posare la mia roba.

Il grembiule era strettamente legato alla mia vita quando tornai nella sala principale e mi infiltrai nella conversazione dei due ragazzi al bancone.

«Tu devi essere la ragazza della sera scorsa! Piacere, io sono Harper. Cam mi ha parlato molto di te» misi un gomito sulla sua spalla alta e lo vidi arrossire, potei solo immaginare con quali termini mi stesse maledicendo a quel punto.

«Piacere mio, sono Sarah» un velo di imbarazzo le stuzzicò gli occhioni verdi che troneggiavano sul suo viso dolce.

La mano alzata di un cliente che puntava la mia direzione attirò la mia attenzione. Presi il mio blocchetto e una matita fiondandomi a ricevere l'ordinazione mentre la biondina e il mio amico si scambiavano sguardi timidi.

Tornai alla mia postazione preparando il caffè per il ragazzo nei divanetti che mi parve leggere uno dei miei libri preferiti.

Gli porsi la tazzina e mi sussurrò un flebile «Grazie» senza staccare lo sguardo dalle pagine fittamente scritte.

I clienti non erano molti, quel pomeriggio, qualche comanda arrivava al bancone con semplici e veloci richieste. Molti di loro entravano per una piccola sosta e ripartivano appena qualche minuto dopo.

Sarah e Cameron sembravano mangiarsi con gli occhi, ma fui sicura che nessuno dei due potesse avere il coraggio di invitare l'altro ad uscire. Pulii uno dei tavolini per poi correre da loro.
«Cam, perchè non la porti a fare un giro? Chiudo io qui» mi guardò con gratitudine dipinta nelle iridi scure per poi parlare
«Sicura? A te non dispiace?»
«Manca poco alla fine dei nostri turni, dammi le chiavi e porta questa povera ragazza a divertirsi» sorrisi ad entrambi.

Seguii il moro nello stanzino dove posò il suo grembiule nero in una piccola panchina appoggiata alla parete.
«Ti devo un favore» sorrise passandosi la mano tra i capelli, evidentemente agitato.
«Non preoccuparti» sfilai la macchinetta digitale che portavo sempre con me dalla tracolla che avevo portato, puntandola esattamente sul suo volto.
«Anzi, un favore potresti farmelo. Dì CHEESE» dopo uno sbuffo, e in seguito ad aver voltato lo sguardo al soffitto, sfoderò un brillante sorriso all'obiettivo ed il flash non tardò ad accecarlo.

Imagine [C.H] #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora