Capitolo unidici

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Lauren pov

Stava imperversando il temporale e Camila era ancora fuori. Dopo due ore di attesa, Lucy, mi aveva pregata di andare a letto perché molto stanca.
L'avevo accontentata.

Lei si era addormentata quasi subito, cingendomi la vita, io invece ero rimasta sveglia ad aspettare che Camila rincasasse.
Contavo i minuti, udivo i passi irrequieti di Dinah riprodursi nel corridoio.
Sapevo che la polinesiana era arrabbiata con me, l'avevo capito dallo sguardo truce che mi aveva riservato prima che lasciassi la stanza.
Attribuiva a me la colpa della fuga di Camila.

Non volevo farla soffrire, stavo solo cercando un modo per acquietare il mio animo e forse, indirettamente, cercare di cicatrizzare le mie ferite stava riaprendo le sue.

Mi girai sul fianco, il braccio di Lucy seguì il movimento del mio bacino e nel sonno si fece più vicina, schiacciando il suo petto contro la mia schiena.
Irriflessivamente mi scostai appena, frapponendo qualche centimetro di distanza fra i nostri corpi adagiati sul materasso.

Erano passate altre ore, non tenevo più il conto perché scandire i minuti mi stava facendo impazzire.
Avevo bisogno di sapere che stava bene, che non aveva commesso qualcosa di stupido come era consona fare quando veniva ferita.

Una sensazione pesante mi oppresse il petto: se le fosse successo qualcosa per colpa mia non me lo sarei mai perdonato.

Chiusi gli occhi, cercai l'aiuto di Morfeo, ma, ancora una volta, l'unico che mi venne incontro fu il passato...


«Camz, che stai facendo?» Domandai incuriosita, notando la ragazza arcuata sul pavimento intenta ad allacciarsi le scarpe.

«Non ho mai capito come si legano le stringhe.» Disse. La sua espressione era una promiscuità fra confusione e concertazione, fra buffo e tenero.

Gli occhi erano ridotti in strette fessure, analizzavano i movimenti cercando di non ripetere quegli sbagliati e di trovare il verso giusto. La lingua leggermente all'infuori, catturava il labbro superiore e le guance, per conseguenza, erano divenute paffute.

«Lascia che ti aiuti.» Mi chinai di fronte a lei, fermai il movimento convulso delle sue mani afferrandole delicatamente i polsi.

Camila alzò lo sguardo su di me, i suoi occhi erano tremendamente più grandi da così vicino e le sue labbra, inumidite dalla sua stessa saliva, si schiudevano armoniosamente davanti a me. Era impossibile non pensare di baciarla.

«Ok, guarda.» Farfugliai con voce mozzata, focalizzandomi sulle stringhe situate in basso.

Compii dei movimenti lenti e precisi, spiegandole passo per passo come allacciarsi le scarpe. Camila imitava i miei gesti in aria, improntandoli nella memoria.

Ripetei il procedimento più di una volta e quando ebbe afferrato il concetto fu lei stessa a legarsi le stringhe, lanciando un gridolino di gioia per l'esito positivo che ottenne.

«Grazie Lo.» Si appoggiò su entrambe le ginocchia per lanciare le braccia al mio collo e stringermi a se.

Rimasi sorpresa da quella reazione, ma non mi lamentai. Ogni pretesto era buono per abbracciarla.
Immersi la testa nei suoi capelli, l'attirai più vicina legando le mani dietro la sua schiena e inspirai il profumo del suo shampoo, sperando che restasse impregnato nelle mie ciocche.

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