Capitolo ventritré

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Camila pov

Non potevo credere che Lauren avesse ascoltato la canzone. Mi sentivo stupida, banale, una perfetta idiota.
Avevo scritto il testo molto tempo addietro, ma non avevo mai avuto il coraggio di cantarlo. Quando Dinah, in macchina, mi aveva strappato il foglio di mano, all'inizio avevo provato come una violazione, come se qualcuno avesse appena frugato nella mia anima senza aver nessuno diritto di farlo, ma subito dopo, arrivata in camera, avevo impugnato la chitarra e avevo arrangiato qualche nota. Intonarlo mi permetteva di ammettere sentimenti che non sarebbero venuti fuori altro modo.

Come guardare Lauren negli occhi adesso? Senza saperlo le avevo confessato un sentimento che avrei voluto tenere per me fino alla fine del tour, quando il contratto sarebbe terminato e io, ripresa la mia normale routine, avrei intonato la canzone, come apertura, ad uno dei miei concerti.

Il giorno seguente restai chiusa in camera, pretendendo di avere l'influenza. Ovviamente nessuno mi credette, ma le ragazze finsero comunque di bersela.

Ero distesa sul letto, lo sguardo rivolto verso il soffitto e il pensiero spiegava le vele verso un mare in tempesta; i ricordi.

«Metti l'indice su quella corda e con il medio su quella sotto. Adesso con il mignolo pizzica l'altra corda e con...» Spiegai lentamente, ma Lauren sbuffò irritata e adagiò la chiamata sul letto.

«È inutile! Non ci riesco. Mi fanno male le dita e non posso coordinare tutti quei movimenti assieme.» Si lamentò, lanciando un'occhiata truce all'oggetto ora poggiato sul materasso.

«Non ci sta nemmeno provando.» Le dissi con un mezzo sorriso, sfiorandole il braccio con la mano.

«Ma perché non ci riesco!» Urlò alzando le mani al cielo e si sdraiò sul letto, cadendo di schiena.

Vagheggiai il suo corpo per qualche secondo, soffermandomi sull'incurvatura rigida delle labbra che le conferiva un aspetto puerile che non era consona sfoggiare.

Mi distesi accanto a lei, poggiando la testa sul suo petto e la mano sul suo ventre. Ad ogni respiro il suo stomaco si contraeva, e i suoi addominali premevano contro il palmo della mia mano, mentre il suo cuore suonava direttamente nel mio orecchio come se, in quel momento, battesse solo per me.

«Come hai imparato a suonare la chitarra?» Domandò, abbassando la testa per riuscire a guardarmi; di conseguenza, il suo mento pigiò contro il mio capo.

«Mio padre. Mi ha dato qualche lezione.» Scrollai le spalle.

Parlare della mia famiglia mi rattristava sempre, perché eravamo lontani da molto tempo ormai, ma sapevo che Lauren comprendeva il mio stato d'animo e discorrerne con lei mi facilitava le cose.

«Ti manca molto?» Domandò, come se fosse riuscita a leggermi dentro.

«Si, ma sono contenuta di essere qui con te.» Mormorai sinceramente, distaccando di qualche centimetro la testa dal suo petto e alzandola nella sua direzione per lasciarle un bacio sul mento.

«Lo sono anch'io.» Sorrise e la presa attorno alla mia vita si fece più salda, più amorevole.

Lauren sospirò e con uno slancio si mise a sedere sul letto, riprendendo la chitarra fra le mani.

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