Capitolo cinquanta

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Camila pov

Dopo il pranzo con la famiglia di Lauren, raggiungemmo i miei parenti.
La giornata con i parenti di Lauren era andata meglio del previsto. Inizialmente erano un po' reticenti, ma dopo aver lasciato che Clara vincesse a Monopoly -per tre volte consecutive- gli umori si erano attenuti, gli attriti risanati.

Taylor mi aveva raccontato dei suoi innumerevoli viaggi attorno al globo, specialmente di quelli svolti in Africa. Stimavo molto quella ragazza, per la passione che dedicava al suo lavoro, per l'amore con il quale ne parlava. Era diventata una donna ormai e guardando Lauren, mi ero resa conto che avesse sofferto per non aver potuto essere presente ai mutamenti della sorella. Per la corvina contavano molti quei pochi momenti nei quali riusciva a ricongiungersi con la sua famiglia, ed ero felice che mi avesse permesso di entrarvi.

Chris era stato quello più scettico di tutti. Non aveva mai smesso di lanciarmi frecciatine che ovviamente avevo preteso di non aver colto, o di guardarmi di sbieco, stringendo i pugni.
Non si era fatto avvicinare, ma risultava sorridente solo quando Lauren era nei pareggi.

Mi aveva affiancato solo una volta, mentre tutti stavano conversando nella sala da pranzo e io mi ero assentata per andare al bagno,mi aveva raggiunta con una scusa banale.
Non si era permesso di mettermi le mani addosso, ma il dito puntato rigidamente contro di me bastò ad intimorirmi.

«Se la fai soffrire di nuovo...» Lasciò la frase in sospeso, ma non c'era bisogno che terminasse per capire cosa volesse sottintendere.

Non svelai a Lauren quell'incontro. Non c'era bisogno che sapesse, l'avrebbe soltanto allarmata ed ero sicura che avrebbe tolto la parola a suo fratello. Non volevo che perdesse una persona a lei cara, così mi limitai a fingere che non fosse mai successo nulla.

Adesso stavamo camminando sul viale dirimpetto alla casa. La luna era stranamente lattiginosa quella sera, illuminava la strada con la sua luce naturale e proiettava le ombre delle palme sul viso di Lauren, creando un gioco floreale sotto ai suoi occhi, proprio sulle guance.

«È andata bene, no?» Chiese, stringendosi le braccia al petto per coprirsi dal leggero venticello fresco che si era alzato.

«Tutto bene.» La rassicurai, sorridendole.

Non avevo portato una giacca, così sfregai i palmi delle mani contro gli avambracci per riscaldarmi, mi strinsi nelle spalle e abbassai il mento, coprendomi alla meno peggio.

Lauren si tolse la giacchetta di pelle e la fece scivolare sulla mia schiena, fissandola sulle spalle. Cercai di protestare, avendo notato che anche lei era insofferente al freddo, ma mi assicurò che non ne aveva bisogno.

Tirai la giacchetta per il colletto, involtandomi in essa. Subito il suo tepore, rimasto intrappolato nel tessuto, mi riscaldò. Il suo profumo era asperso anche sulla pelle nera che ora avvolgeva il mio corpo e mi ritrovai ad inalarlo, socchiudendo gli occhi per la sensazione inebriante che mi procurava.

La strada era vuota, poche luci erano accese nelle case che velocemente sorpassavamo, così mi azzardai ad affiancarmi a lei, poggiando la testa contro il suo petto. Lauren si irrigidì, guardandosi attorno con fare circospetto, ma quando realizzò che nessuno ci stava osservando, mi accolse sotto la sua ala, cingendo le mie spalle con il suo braccio.

Avevo visitato tanti luoghi, attraversato confini, oltrepassato frontiere, ma mai mi ero sentita a casa come in quel momento.

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