Capitolo cinquantuno

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Camila pov

Mi svegliai intorpidita dal sole e dalla posizione mantenuta a lungo durante la notte. Le braccia di Lauren ancora salde sulla mia vita, la mia testa sprofondata nella sua spalla. Era una postura che vincolava qualsiasi mio gesto: se non avessi voluto svegliarla.

C'era calma piatta. La nostra stanza era illuminata da una fievole luce proveniente da fuori, una leggera brezza entrava attraverso lo spiraglio apposito della finestra, le tapparelle svolazzavano leggermente al soffio del venticello. I suoi capelli erano disordinati sopra il cuscino, la testa propendeva verso la spalla, schiacciando la guancia contro di essa. Le labbra, appena schiuse, rilasciavano un sospiro placido e le palpebre, socchiuse, si muovevano a tratti irriflessivamente come per scacciare un brutto incubo e subito dopo si rilassavano, riacquisendo la proprietà del sogno precedente.

Pensai, nonostante la posizione scomoda, non avrei voluto svegliarmi in altro modo per il resto dei miei giorni.

Tracciai l'incipiente lineamento del suo volto, scavando i suoi zigomi con i polpastrelli delicati. Le sue labbra si storsero in una flebile smorfia, un lamento gutturale aleggiò assieme alla brezza marina, così capii che stavo interferendo con l'essenza dei suoi sogni, mischiandomi a materia di un mondo dove non mi era concesso entrare, e abbandonai la carezza, scivolando fuori dal letto con agilità.

Le sue braccia ricaddero sulla pancia scoperta, abbracciando il suo stesso corpo. Mi premurai di coprirla con il lenzuolo: anche se non c'era alcun bisogno di proteggerla da alcun gelido, non potei fare a meno di rimboccarle le coperte.

Aprii l'anta dell'armadio, lentamente per non farla cigolare. Afferrai dei vestiti e mi chiusi nel bagno, accompagnando la porta per non farla sbattere. Sorrisi fra me e me: quanti infinti modi esistevano per amare una persona.

Feci una doccia veloce, lavando via il sudore che aveva intriso la mia pelle durante il sonno e ravvivai i capelli, lasciandoli gocciolanti per non accendere il phon.

Portai la chioma su una spalla, imbevendo solo parte della maglietta. Gettai gli abiti sporchi nella cesta, allogata accanto alla doccia e scesi al piano di sotto, lasciando Lauren a riposare.

Dormivano ancora tutti. Non avevo avuto l'accortezza di controllare l'ora, ma doveva essere molto presto se mia madre non si trovava in cucina a impastare pancake, o farcire toast. Mi versai un bicchiere di succo e feci lo stesso per Lauren. Le preparai delle fette biscottate con la marmellata. Non eccellendo in attività culinarie non potevo fare di più.

Raggiungere la stanza, passando per le scale con il vassoio traballante, assicurandomi che il succo non straboccasse, fu un'impresa. Comunque, riuscii ad aprire la porta con la punta del piede, a richiuderla con l'ausilio del gomito e sopraggiungere al letto.

Mi sedetti sul materasso dove la corvina era ancora immersa nel sonno. Il suo ventre si sollevava a seconda del ritmo del suo respiro, solitamente tranquillo, raramente agitato. Svegliarla sembrava quasi un peccato, perché nessuno si sarebbe mai permesso di disgregare la proiezione assonnata della ragazza dagli occhi verdi.

Calma. Calma piatta.

Con l'indice scostai una ciocca che le era ricaduta sulle palpebre, appuntandola dietro il suo orecchio. Lauren si mosse impercettibilmente, arricciando il naso e accigliandosi quando la mia mano carezzò la sua guancia, intenta a destarla gentilmente.

Sbatté le sopracciglia ripetutamente, i suoi smeraldi brillarono alla luce del giorno, togliendomi il respiro.
Dalla prima volta che avevo guardato in quegli abissi, avevo smesso di provare le stesse emozioni per ciò che mi circondava: tutto assumeva una sfumatura che ricordava le sue iridi.

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