Capitolo trentuno

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Camila pov

«E quindi?» Domandò Dinah freneticamente, quasi come se fosse stata a lei, e non io, a trovarsi nella stanza vuota quella mattina.

«Quindi...» Sbuffai attraverso la cornetta, alzando gli occhi al cielo. Che cosa potevo dire se nemmeno io sapevo cosa veramente era accaduto?

«Quindi se ne era andata. Da poco presumo perché il letto era ancora caldo.» Chiusi gli occhi, ricordando il calore delle coperte riempirmi il palmo. Serrai la mano a pugno, cercando di afferrare, o forse allontanare, la familiarità di quel tocco.

«E tu che hai fatto?» Quasi urlò, provocando un fischio insopportabile nella comunicazione che momentaneamente mi stordì.

«L'ho lasciata andare.» Ammisi, distendendosi supina sul letto di camera mia.

«Ma perché?!» Chiese concitatamente Dinah, la delusione chiara nel tono della voce.

«Perché Dj, perché...» Sospirai, voltando lo sguardo sulla fotografia che ritraeva tutte e cinque ai primi mtv awards.

Il sorriso di Lauren risplendente fra tutti gli altri, lo sguardo fisso nel mio, quasi presente, quasi reale, il suo viso incorniciato nello scatto patinato.
A quei tempi eravamo due ragazzine ingenue che giocavano a rincorrersi senza sapere davvero quello che volevano. Non sapevamo che tutto quell'affanno ci avrebbe regalato, e al tempo stesso tolto, la cosa più importante della nostra vita.

«Perché lei ha scelto di andarsene e rincorrerla avrebbe solo peggiorato le cose.» Allungai il braccio verso la cornice e accarezzai il brodo argentato come se fosse la guancia della corvina, ma qualche attimo dopo la parte protuberanza fredda diventò solo un oggetto materiale infido che mi ricordò la distanza che ci divideva. Mi affrettai ad abbassare la fotografia, nascondendola alla vista.

«Mila, vorrei restare a parlare e ricordarti quanto deficienti siate entrambe, ma devo andare. La mia famiglia si riunisce e...»

«Vai. Non preoccuparti.» La liquidai velocemente, sentendomi quasi sollevata dal dover chiudere la chiamata. Tutto quel parlare di Lauren mi stava togliendo il respiro.

«Ci sentiamo presto.» Disse frettolosamente e attaccò, lasciando solo l'eco del bip a risuonare nella cornetta.

Lasciai cadere il telefono sul materasso e restai a fissare il soffitto per minuti interminabili.
Dovevo trovare qualcosa che mi avvicinasse a lei, qualcosa che mi potesse dare una prospettiva di ciò che aveva scelto.
Cercai di tracciare i grattacieli, di vedere Central Park, di immaginare come fosse l'edificio nel quale ora si trovasse Lauren.
La sua nuova vita non mi includeva e tutte quelle linee, grossolane e fredde, dipinsero un quadro che non mi ritraeva.

Smisi di pensarci. Figurarmi la sua nuova vita era insalubre. Dovevo trovare qualcosa, qualsiasi cosa che assottigliasse il peso costante sul petto che aveva iniziato a tormentarmi già da una settimana.

Mi girai dall'altra parte, sentendo un fastidioso solletico sul fianco annichilito. Portai una mano sotto la guancia, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalla memoria.

«Odio questa cosa, lo sai vero?» Si lamentò per l'ennesima volta, reclinando la testa su un lato per ammirare lo smalto rosso che stavo distribuendo sulle sue unghie mangiucchiate.

«Un po' di femminilità Lauren!» La rimproverai, strizzando gli occhi per porre maggior attenzione una volta raggiunti i bordi.

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