Capitolo trentadue

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Lauren pov

Quattro mura, un soffitto, una cucina, un salotto, un bagno, divano, cuscini, lenzuola, accappatoio, posate... Tutto quello che dovrebbe trovarsi in un appartamento, tutto quello che dovrebbe farti sentire a casa.

Mia madre mi aveva sempre detto "casa è dove possiamo essere noi stessi." Allora perché non mi sentivo a mio agio con la mia propria persona in quell'appartamento che da quel momento sarebbe stato mio?

«È fantastico.» Disse commossa Lucy, alzando lo sguardo verso la finestra che, oggettivamente, offriva una visita magnifica su New York, soggettivamente... era solo una città spoglia.

«Sono contenta che finalmente abbiamo firmato.» Poggiò mestamente le mani sulla mia spalla, poi puntellò il mento contro di esse, arrivando a sfiorare la mia guancia con il suo naso.

«Certo.» Risposi, arricciando le labbra leggermente infastidita dal solletico che provocava ogni volta che muoveva la punta del naso contro la mia pelle.

«Lauren...» Mormorò lascivamente Lucy. La sua mano si spostò lungo il mio fianco, fino a sfiorare le natiche.

Mi irrigidii e feci un passo verso destra, distaccandomi. La donna fece passare la mano che prima toccava il mio corpo, lungo i bottoni della sua camicia. Il reggiseno nero spuntò dietro il tessuto bianco, riuscii a intravedere la sua pancia piatta attraverso le pieghe mentre camminava verso di me.

Indubbiamente provavo un'attrazione fisica verso di lei, un tempo credo di aver provato anche qualcosa di più nei suoi confronti, ma adesso mi sentivo come se mi stessi costringendo a provare qualcosa, a modellare un sentimento che non poteva neppur essere sfiorato.

Lucy si tolse le scarpe e sbottonò i jeans, poi avvinghiò le braccia attorno al mio collo e spinse il suo corpo contro il mio, facendomi trasalire. Non ero sicura quale origine avesse quel sussulto.

Spostò i miei capelli su una spalla e si piegò per baciare il mio collo. Lentamente mi spinse contro il letto e si mise a cavalcioni su di me, spingendo il peso del suo corpo contro il mio.

Eravamo nude, lei si muoveva ritmicamente sopra di me, ma quella notte disse una cosa che non dimenticherò tanto facilmente...

«Lauren.» Mi richiamò in affanno, rallentando la velocità del bacino.

«Mh...?» Mugolai in risposta.

«Stai facendo una cosa che non facevi da tempo.» Iniziò a bassa voce. Feci un cenno con il capo, esortandola a delucidarmi.

«Stai tenendo gli occhi chiusi.»

Solo allora mi accorsi di trovarmi a miglia di distanza da quella stanza da letto che poteva ospitare solo il mio corpo, ma non riusciva a rinchiudere il mio pensiero.

......

I giorni successivi ci dedicammo ad arredare l'appartamento. Sceglieva tutto Lucy perché aveva un gusto elevatamente migliore del mio.
Quadri, fodere, tappeti. Appendere, foderare, tappezzare.

Mi distraevo fra colori astratti, facce mai viste, motivi disegnati con rigore sui tessuti decorativi. Stampe di New York, che poi che senso ha appendere un poster della città che puoi vedere ogni mattina dalla finestra? Mi veniva voglia di strapparlo dalla parete, ma invece fui proprio io ad attaccarlo perché Lucy doveva occuparsi delle lenzuola.

Mi inerpicai sulla scala, brandendo il poster di carta fra le mani e quando lo disposi sulla parete, in alto sopra lo specchio, mi resi conto che guardavo le punte dei grattacieli e mi chiedevo perché non riuscissi a scorgervi delle palme.

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