Capitolo cinquantasei

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Lauren pov

La data a Verona era andata benissimo. Nonostante i ritardi, qualche piccolo problema tecnico e una leggera pioggerella che aveva umidificato l'aria durante tutta la sera, costringendo gli spettatori ad aprire gli ombrelli, creando un gioco di colori che a guardarli sembrava quasi un dipinto semovente, era stato un bel concerto, forse uno dei miei preferiti.

Le fini gocce che piovevano dal cielo, sferzando i nostri volti dolcemente, solleticando la pelle con mano gentile, a lungo andare avevano intriso i capelli di Camila, il suo volto era impallidito e le labbra si erano fatte più violacee sotto il rossetto, ciò nonostante aveva continuato a cantare e ballare come se la pioggia, invece di importunarla, la stesse rinvigorendo.

Io, che avevo sempre detestato l'intrusione della pioggia durante le nostre esibizioni, iniziai ad apprezzarla.

Dopo il concerto le ragazze erano corse a farsi una doccia calda, ma Camila non era fra loro.
La cercai in camerino, nei corridoi, chiedi in giro se l'avessero incrociata per sbaglio, ma nessuno sapeva niente.

Mi diressi velocemente verso l'uscita sul retro, dove un piccolo spiazzo forniva posteggio agli autisti e la trovai lì, a saltellare fra le pozzanghere, con i capelli gocciolanti, i vestiti imbevuti dalle lacrime del cielo alle quali Camila sorrideva giocosamente.

«Camz!» La richiamai, lanciando uno sguardo verso l'alto dove dei banchi di nuvole grigie e nere si alternavano fra loro, venendo rischiarati a intervalli dalla luce abbagliante di un fulmine, o dal grido raccapricciante di un tuono. E lei ballava.

«Laur!» Esclamò felice, tendendo i lati della gonna mentre saltava in una pozzanghera, schizzandosi «Vieni!» Disse ridendo così genuinamente che per un attimo il suono scrosciante della pioggia fu sovrastato dalla sua risata, risultando un leggero rumore di sottofondo.

«Ti prenderai l'influenza!» Urlai, perché qualche secondo dopo l'imperiosa pioggia aveva ripreso il suo canto ululante e impediva alla mia voce di essere udita a volume più sommesso.

«Ma ne vale la pena!» Fece una piroetta su se stessa, staccando per una frazione di secondo i piedi da terra e tornò a poggiare sul suolo con un balzo che dipinse i suoi abiti di fango. E lei rideva.

Mi guardai attorno, una veloce sbirciatina alle mie spalle e una fugace occhiata al cielo; la pioggia incessante appariva meno gotta se guardata da quella prospettiva. Le gocce si diradavano fra di loro, scendendo una dopo l'altra come proiettili, eppure sembravano innocue, intenzionate solo ad accarezzarmi e non a ferirmi.

Feci un passo avanti, venendo subito investita dalla voce flautata del cielo che nonostante la pioggia e le nuvole nere non aveva perso la sua bellezza.

Camminai verso di lei, che ora saltava con le braccia rivolte verso l'alto, la testa piegata all'indietro, le palpebre chiuse e un sorriso increspato sulle labbra.

Accidentalmente misi un piede dentro una pozzanghera e l'acqua marroncina schizzò sulla mia gonna bianca, sporcandola appena. Continuai a passo più incerto, facendo attenzione a dove poggiavo la suola delle scarpe.

Camila mi tese le mani e un'ampio sorriso si allargò sul suo volto decorato delle stesse impurità che adornavano la mia gonna.

La corvina notò la mia indulgenza, l'andatura malfermo che mi faceva incespicare ad ogni passo e in uno sbuffo contrariato immerse la punta della scarpa nella pozzanghera, facendola poi volare nella mia direzione.

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