Capitolo diciannove

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Camila pov

Eravamo comodamente sedute in macchina.
Dinah aveva insistito per prendere posto davanti, confessando che aveva sempre avuto un debole per l'autista. Io e Ally eravamo sedute subito dietro di loro, mentre Lauren e Normani aveva preso posto nei sedili posteriori ai nostri.

Tenevo la testa poggiata contro il finestrino, gli auricolari infilati nelle orecchie e la musica abbastanza alta da zittire le voci circostanti.
Ally si era girata lateralmente, portando una gamba sotto al sedere, per poter parlare con le ragazze dietro di noi e l'unica cosa che riuscivo a captare erano dei soffusi brusii.
Alzai maggiormente il volume della musica, mettendo le ragazze completamente in muto finché non arrivammo allo studio di registrazione.

Appena scesi dalla macchina, Dinah mi raggiunse e mi prese a braccetto, saltellando verso l'entrata.
«Mi ha dato il suo numero.» Canticchiò sottovoce.

«Lo sai che se ti va male dovrai continuare a vederlo quasi tutte le settimane?» Chiesi sarcastica, ma evidentemente lei la prese con serietà perché arrestò il movimento ritmico delle gambe e mi guardò sinistra.

«Grazie Mila. Sei sempre così incoraggiante.» Sbuffò, muovendo una ciocca di capelli che le erano ricaduti sulla guancia.

La presi sul ridere e la consolai dicendo che stavo solo scherzando, ma in realtà lo pensavo davvero. Lei non poteva immaginare com'era sfiancante vedere il tuo ex ogni giorno.

Entrammo nel corridoio; era come lo ricordavo.
Il tappeto rosso sistemato nell'atrio dava un'idea di lusso, mentre i quadri autografati dalle celebrità che avevano inciso i loro dischi in quello studio, erano appesi sulle pareti e conferivano un'idea moderna all'ambiente.

Un ragazzo ci accompagnò nella sala che Rick aveva prenotato per noi.
Lo ricordavo bene: studio numero 5, seconda porta a sinistra dopo la rampa di scale.
Solitamente registravamo tutti i nostri album nel numero 4, ma il 5 era speciale.
Lo era per me.


«Lauren... Non possiamo.» Sussurrai per senso di giudizio, ma lasciai che la sua mano continuasse a guidarmi attraverso le scale.

Non so dove stessimo andando, ma quando Lauren prendeva l'iniziativa c'era sempre da aspettarsi una sorpresa.

«Sì che possiamo.» Mormorò, aprendo una porta rossa e scivolando furtivamente all'interno «Poi se ci scoprano possiamo dire che abbiamo sbagliato studio.» Minimizzò, scrollando le spalle.

Controllai il corridoio: era vuoto.
Mi morsi il labbro, intimorita di mettermi nei guai, ma incuriosita da quello che le passava per la mente. Accennai ad un sorriso che le fece intuire quale istinto prevalesse su di me. Quella leggera increspatura delle labbra le diede il permesso di attirarmi dentro lo studio e chiudere la porta dietro di noi.

Era uno studio più grande di quello dove eravamo solite registrare, all'apparenza più professionale.
Lauren intrecciò le dita alle mie e lentamente si spostò nella stanza. Dai movimenti precisi che compiva capii che non era la prima volta che si intrufolava.

«Adesso siediti.» Mi istruì, facendo pressione sulle spalle per spingermi sulla sedia girevole dietro di me. «Torno subito.» Ammiccò maliziosa, lasciandomi un bacio sulle labbra prima di entrare dentro la stanza insonorizzata.

Dall'altra parte del vetro mi fece segno di indossare le cuffie. Obbedii velocemente ai suoi ordini.

Lauren si sistemò dietro il microfono, ticchettò con il dito su di esso e il suono arrivò amplificato alle mie orecchie. Le mostrai il pollice, confermandole che la sentivo.

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