Capitolo sessanta

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Camila pov

Ero arrivata presto a casa Jauregui. Clara, la madre di Lauren, mi aveva pregata di non presentarmi troppo tardi perché a lei piaceva fare le cose con calma, senza avere il fiato sul collo e dato che, nonostante il pranzo del quattro luglio, ancora non ero tornata in ottimi rapporti con Clara, alle otto del mattino ero già sulla soglia della porta.

Lauren era rimasta a casa con Sofia. Avrebbero passato la giornata insieme, così avrebbe tenuto fede alla sua promessa e in più sarebbe stata un'ottima distrazione per non pensare a me che avrei passato l'intera giornata con sua madre. E conoscendomi avrei combinato sicuramente qualche disastro.

Per quanto tentassi, i guai mi raggiungevano ovunque andassi.

Già immaginavo di scuocere la pasta, o di bruciare l'arrosto, oppure mettere il sale nel dolce al posto dello zucchero.

La porta si aprì e questi pensieri mi scivolarono addosso, sostituiti dall'ansia di atteggiarmi in maniera educata e mite con Clara. La donna mi fece segno di entrare, ed io non me lo feci ripetere due volte.

Indossava lo stesso grembiule dell'altra volta, solo che ora sembrava più pulito e mi chiesi se lo avesse lavato per l'occasione, o se fosse una casualità che le macchie di olio e sugo fossero state rimosse.

Poggiai il cappotto all'appendiabiti e la seguii in cucina. Lei teneva i capelli legati in una crocchia e mi disse di sistemarli allo stesso modo, rendendo così l'ambiente più igienico. Obbedii, raccogliendo le ciocche corvine in una coda di cavallo alta, che poi arrotolai su se stessa e la perfezionai con delle forcine, fissando i capelli in uno chignon.

Clara aveva messo l'occorrente sull'isola di legno. C'erano un sacco di odori, ortaggi, buste di pasta, condimenti, cioccolata... Di tutto un po'! Non sapevo da dove cominciare. Gli ingredienti, avvolti nei loro diversi colori e profumi, mi fissavano con scherno. Ci tenevo a fare bella figura con Clara, ma io di cucina non ne sapevo assolutamente niente. Ero lì proprio per imparare, ma avete presente quella spiacevole sensazione che vi attanaglia lo stomaco quando siete in procinto di fare qualcosa, ma una parte di voi vi suggerisce che non siete all'altezza? Mi sentivo esattamente così.

«Allora, Camila..» Iniziò lei, afferrando una melanzana che fece a fettine sottili sopra il tagliere «Quanto ne sai di cucina?»

«Oh, be'.. ehm..» Mi schiarii la voce, annoverando le cose che mi riuscivano sulle dita delle mani «So riscaldare il latte, spalmare la marmellata sulle fette biscottate e sbucciare un banana. Ah, so anche cucinare l'uovo e.. ehm... Ah! Una volta ho fatto bollire l'acqua per le paste.» Clara ridacchiò, scuotendo leggermente il capo.

Si accingeva a sminuzzare una zucchina. Il modo preciso, netto e veloce con cui la lama tagliava l'ortaggio mi intimidì. Abbassai lo sguardo sul tavolo, storcendo le labbra in una smorfia.

«Non preoccuparti.» Incontrai i suoi occhi, abili lettori dei miei stati d'animo «Sono qui per insegnarti.» Mi rincuorò, facendo scivolare le fettine dentro un recipiente e poi poggiò il coltello accanto al tagliere.

Mi spiegò come cuocere la pasta senza salare troppo l'acqua, o far sfaldare l'impasto fresco. Mi istruì su i diversi tipi di taglio, a partire da quello alla Tritata, alla Julienne, per finire con il Brunoise. Il primo era il più semplice e il più veloce, con il secondo ebbi difficoltà. Bisognava tagliare la verdura in due, poi trasversalmente a formare delle fette di spessore fine (circa 2mm). Clara mi aiutò in questo procedimento, facendomi vedere e rivedere come faceva lei e piano piano, anche se non perfette, riuscii ad attuare la tecnica. E con l'ultima, una tecnica usata dopo aver tagliato la verdura alla Julienne dove occorreva sminuzzarla ulteriormente in piccoli dadini, mi destreggiai abbastanza bene.

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