Capitolo cinquantaquattro

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Lauren pov

Stavo raggiungendo l'aeroporto dove io e le ragazze ci saremo riunite per raggiungere la meta prescelta: Verona.

Trascinavo freneticamente il trolley dietro di me, allungando ogni volta il passo, arrivando quasi ad una corsa. Il mio respiro si affannava, ma i miei occhi non avrebbero trovato pace finché non si fossero posati dentro alle sue iridi castane.

Quei due giorni con Lucy erano stati un incubo. Dopo la serata, aveva continuato a canzonarmi, a provocarmi, e avevo anche dovuto trascinarla per l'appartamento perché troppo sbronza per sorreggersi da sola. Durante quelle ore di ebrietà, aveva vaneggiato su discorsi dei quali non riuscivo a liberarmi. Mi intrappolavano in una morsa angustiante, togliendomi il fiato ogni volta che il mio pensiero vi si riposava. Dovevo dirlo a Camila, ma paventavo la sua reazione. La situazione nella quale eravamo rilegate era già complicata di per sé, non potevo inquietarla ulteriormente.

Per ora avrei taciuto quelle confessioni.

Sopraggiunsi all'aeroporto, trafelata per la corsa attuata. Cercai le ragazze fra la piazza gremita di persone, scorgendo prima Normani e Dinah, infine Ally e Camila.

Quest'ultima si guardava nervosamente attorno, vagliando ogni passante minuziosamente, ricercandomi fra questi. Sorrisi nello scoprire che entrambi i nostri sguardi si rincorrevano.

Quando arrivai a pochi metri da loro, i suoi occhi si posarono su di me, gli angoli della sua bocca si alzarono in un sorriso spontaneo che venne soppresso istintivamente dai denti, i quali catturarono il labbro inferiore.
Mi avvicinai più velocemente, stringendo con più forza la valigia, tenendo a bada l'impulso di aprire le braccia e accoglierla al mio petto; l'unica cosa che agognavo.

Spintonai chiunque si trovasse sulla mia strada, incapace di distogliere lo sguardo dal suo anche solo per un secondo. Quando arrivai a pochi passi da loro, Camila mi salutò con un mezzo sorriso, agitando la mano. Anche lei faticava a governare l'impeto primordiale che incendiava la sua ragione e avvampava le sue guance.
Avrei voluto baciarla, lì, davanti a tutti. Le mie labbra fremevano per poter anche solo lambire le sue, persino i miei polpastrelli formicolavano instabilmente, avvinti dalla tentazione di stringerla.

Non ancora. Continuavo a ripetermi e lei, come se mi avesse letto nel pensiero, annuì, inoltrandosi verso l'imbarco.

Mi mantenni indietro, conversando con Normani, ma sinceramente non ricordo nemmeno una parola di ciò che stava dicendo, perché la mia mente era temporaneamente obnubilata da quell'unico istinto che la corvina azzimava in me.

Passato il gate, sorpassata la pista, salito gli scalini dell'aereo; minuti che parvero interminabili, quasi come se il tempo avesse deciso di aggiungere dei secondi supplementari.

Ora, nascosta dietro la porta dell'aereo, nessuno sguardo poteva più raggiungerci. Lasciai cadere la borsa con un tonfo, Camila aveva già aperto le braccia e con slancio mi fiondai fra di esse, avvinghiandomi con tutta la forza al suo corpo esile in confronto al mio.

Camila baciò ripetutamente la mia testa, il mio collo, la mia guancia. Adagiava le labbra su qualsiasi strato di pelle che incontrasse e io mi ritrovai a ridacchiare quando solleticò la punta del mio naso con lo stesso trattamento.

«Ciao.» Mormorò frettolosamente, con il fiato corto, prima di intingere le mie labbra della stessa forma delle sue.

Chiusi gli occhi, mentre mi accontentavo di premere semplicemente la bocca contro la sua, senza muoverla, ma lasciandovi un susseguirsi di baci che terminò solo quando Dinah emise un suono disgustato che fece scoppiare tutte a ridere.

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