Capitolo sessantasei -Parte due

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Lauren pov

E così è fu. Per cinque giorni il mio telefono rimase spento, come se non ricevere chiamate o messaggi potesse in qualche modo far sì che questi non siano mai avvenuti, ma ero certa che Lucy aveva riempito quell'aggeggio con messaggi minatori e urli isterici in segreteria.

Mi chiedevo se, a questo punto, stesse prendendo davvero in considerazione l'idea di rivelare a tutti della mia relazione con Camila, o forse aveva ragione la corvina... Forse Lucy non avrebbe mai attuato il suo piano, perché in realtà non le interessava di vendicarsi, voleva solo che restassi con lei.

Lucy era una ragazza socievole, attorniata da amici e colleghi con i quali passava la maggior parte delle serate, ma se avessi chiesto ad uno di loro quale fosse il drink che usualmente prendeva o se si ricordavano il suo libro preferito, be'... nessuno avrebbe risposto.

Forse si stava circondando di persone per ingannare la solitudine, ma nemmeno uno di loro si poteva considerare amico. La vicinanza è diversa dal contatto vero e proprio. Io con Lucy ne avevo avuto uno per diversi anni, non intendo fisico, ma psichico.
Prima si abbraccia la mente di una persona, dopo il corpo.

E credo che Lucy sapesse che nonostante le lodi, le risate alle sue battute, le sfide all'ultimo shot, nessuno di quelli che lei chiamava amici era capace di vederla chiaramente, non oltre l'involucro da modella superficiale che si era legata addosso.

Ecco perché aveva bisogno di me. Io l'avevo ascoltata e capita per anni, ero rimasta al suo fianco duranti i momenti difficili, avevo impiegato il mio tempo cercando di conoscerla. Io ci avevo provato, agli altri non importava un bel niente di sondare in profondità. Per quanto la detestassi, sì.. un po' mi faceva pena.

Comunque era il giorno di Natale e non non volevo scartare i regali pensando a quello. Chiusi il telefono in un cassetto del comodino.

Vige la regola: se non lo vedi, non ci pensi. Meditai, facendo girare la piccola chiave nella serratura.

«Ehi.» Mi richiamò Camila, affacciandosi sull'uscio «Stiamo per aprire i regali. Vieni?» Aveva la voce un po' impastata a causa del sonno, i capelli arruffati e un accenno a delle leggere occhiaie, ma il sorriso non le mancava.

Annuii e afferrai la sua mano, lasciando che mi guidasse al piano inferiore. Era il primo Natale che trascorrevamo assieme dopo tre anni. Inevitabilmente, mi domandai come si fosse svegliata durante questo lasso di tempo la mattina del venticinque Dicembre, se mi avesse pensato almeno per un istante.

«Che cosa hai fatto gli anni precedenti?» Chiesi senza rendermene conto, dando forma a quelli che prima erano solo vaghi pensieri.

«Durante le festività?» Domandò di rimando, ed io annuii. Camila sospirò rumorosamente, intrecciando le dita alle mie, si schiarì la voce e fissò lo sguardo davanti a se, evitando categoricamente di incrociare il mio.

«Se tornavo a casa, festeggiavo per Sofi. Però, se ero lontana, non succedeva niente di che..» Si strinse nelle spalle «Semplicemente restavo a letto.» Ed ora rilassò i muscoli dapprima tesi come corde di violino; anche la presa sulla mia mano si fece più fievole, così fui io a stringerla per rincuorarla.

«Io, invece, mi ubriacavo spesso prendendo come pretesto le festività...» Mormorai. Non andavo fiera di quel periodo della mia vita.

Non fraintendetemi, non ero un'alcolista, ma conoscevo i miei limiti e durante quei giorni mi permettevo di superarli, offuscando il passato almeno durante il giorno di Natale, o Pasqua, o qualsiasi altro evento ricorrente.

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