Capitolo ventuno

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Lauren pov

Erano passate due settimane dalla prima volta che Camila era uscita con Chelsea.

Si erano riviste altre tre volte. Le cose si facevano serie e più la corvina di avvicinava all'intervistatrice, più io mi allontanavo da lei.
Sapevo di non aver nessun diritto su Camila, per questo mantenevo le distanze: per non erompere quando meno me l'aspettavo.

Se prendi le distanze da qualcosa, se pretendi che non esista, quella non avrà più poter di ferirti.

Il tour era alla porte, mancava poco più di settimana e saremo ripartite ad esibirci prima in giro per il paese, poi oltre oceano.
Mi focalizzavo su questo. Sul mio lavoro. Restavo qualche ora in più in sala prove, passavo il tempo ascoltando minuziosamente la mia voce e spendevo auto critiche che mi aiutavano a nascondermi per qualche altra ora nello studio.
Era diventata una seconda casa e per quel tempo che restavo chiusa là dentro non pensavo a niente.

Quando uscivo, però, i pensieri tornavano a tormentarmi e allora dovevo spostare la concentrazione su altro; sul progetto di Lucy.
La stavo aiutando a cercare a casa, vagliando attentamente ogni offerta sul giornale, ma poi infine le bocciavo tutte. Forse perché non mi piacevano davvero, forse perché non volevo che mi piacessero.

Alla fine, però, Lucy aveva trovato un appartamento allettante e quel giorno saremo andate a visitarlo.
Ero in macchina, mi stavo dirigendo al luogo dell'appuntamento, quando mi chiamò Dinah e mi chiese di tornare al pullman il prima possibile perché Rick sarebbe passato nel tardo pomeriggio a parlarci.
La ringraziai per avermi avvisato e le assicurai che, appena avessi espletato l'impegno, sarei tornata.

Lucy mi aspettava davanti all'edificio a vetri, imponente accanto agli altri.
Scesi dall'auto e la raggiunsi a passo svelto, preoccupandomi di schivare i tassisti impazziti di New York.

«Sei in ritardo.» Mi riprese, appena le fui abbastanza vicina da riuscire a distinguere la sua voce da quella dei rumori della strada trafficata.

«Lo so, stavo lavorando.» Scattai sulla difensiva, poi attribuii la colpa anche all'ingorgo alle mie spalle.

«Comunque non è ancora arrivata Daisy, perciò non preoccuparti.» Mi lasciò un bacio rapido sulle labbra, poi un altro.

Mi distaccai e sorridendo
«Allora nessuno saprà che sono in ritardo.» Mormorai, come se le persone che sfrecciavano accanto a noi potessero ascoltare interessate la conversazione, quando in realtà nessuno ci prestava attenzione.

«Io lo saprò.» Socchiuse gli occhi, facendola risultare come una minaccia.

Le mie mani restarono ferme sulle sue spalle, le sue cinsero la mia vita e restammo a scambiarci battute fino a quando non arrivò l'agente immobiliare, Daisy.

Ci illustrò l'appartamento con accurata eleganza, senza mancare di professionalità.
Era grande, forse anche troppo per solo due persone. Le vetrate, però, rendevano lo spazio luminoso e tutta quella grandezza si disperdeva sotto i raggi del Sole.
Era dotato di un piccolo soppalco dove Lucy stava già progettando di sistemare la nostra camera.

Intrecciò la mia mano alla sua e mi guidò fino alla finestra che mostrava tutta New York.
Per quanto la vista fosse spettacolare, da lì non potevo fare a meno di vederla sotto una luce diversa. Era un'altra New York adesso che la vedevo da quella prospettiva, più cupa.

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