Capitolo sessantatré

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Lauren pov

Freud dice che alcune persone sono soggette ad avere paura del buio perché non possono vedere la persona che amano.

Ripensandoci a me l'oscurità non mi aveva mai intimorito, fin quando conobbi Camila. Ricordo che quando calava il manto nero sul palcoscenico, prima della nostra entrata, e tutto diveniva scuro, avevo un tuffo al cuore e mi giravo forsennatamente a cercare Camila, sperando di scorgerla. Poi la luce si accendeva d'improvviso, la sagoma della corvina si stagliava a pochi metri da me e il mio respiro si stabilizzava.

Quella notte, Camila stava dormendo sopra il mio petto. Non potevo vederla, ma sentivo il suo respiro e il peso del suo corpo premuto contro il mio. Tutti fattori che mi accertavano della sua presenza. La stringevo fra le braccia, arrivando a cingere interamente il suo corpo esile, come per impedire al sonno, che presto si sarebbe abbattuto su di me, di portarmela via. Come se Camila fosse frutto di uno scenario onirico, ed una volta schiuse le palpebre si sarebbe smaterializzata.

Era una paura irrazionale, ma tutti noi siamo più colmi di paure illogiche che veraci.

Eppure, la mia si realizzò.

Ero scivolata verso gli abissi, esausta dopo la notte trascorsa fra movimenti sensuali e baci passionali. Ero immersa in un sonno profondo, ma ad un tratto fu come se una parte di me, cosciente solo parzialmente, mi avvertisse che qualcosa non andava. Mi svegliai di soprassalto, provando a stringere più forte Camila per scacciare via l'affanno, ma tutto ciò che riuscii ad abbracciare fu l'aria.

«Camz..» La richiamai con un filo di voce, che venne sospinto dal vento verso le imposte aperte.

Buio. Era buio pesto.

Ero avviluppata fra le coperte, rinfrescata dal frullio dell'aria notturna. I miei occhi vagavano veloci attraverso quelle che dovevano essere la pareti, le mie mani si erano istintivamente strette alle lenzuola e se ci fosse stata un po' di luce sarei riuscita a vedere le mie nocche diventare bianche come il profilo della luna.

«Camz!» Dissi a voce più alta, aspettando una risposta che non arrivò.

Il sipario, era sceso il sipario e con il suo tessuto nero aveva immerso la stanza nel completo buio. Mi sentivo paralizzata al letto, come se le grinfie della notte mi privassero di ogni energia. Ero talmente terrorizzata che mi parve addirittura di sentire la risata del vento accarezzarmi il collo.

«Camz!» Ripetei, ma anche stavolta nessuna risposta.

Imponevo alle mie gambe di muoversi, di reagire, ma non mi davano ascolto. Le mani, uscite silenziosamente dal manto nero, mi immobilizzavano al letto, prendendo possesso di ogni mia facoltà mentale.

Avanti Lauren. Hai già sconfitto tante paure insulse. Muovi quelle gambe! Mi ripetevo mentalmente, avendo persino il timore di dar voce ai miei pensieri... La notte era in ascolto.

Per un secondo pensai che fosse un brutto sogno, che presto mi sarei svegliata: ansimante ma con Camila ancora stretta fra le mie braccia. Provai a chiudere gli occhi, gli strizzai talmente forte da sentire le mie guance contrarsi sino a dolermi.

Che stupida! Tu non hai mai avuto paura del buio. Mi maledissi da sola. Se avessi potuto mi sarei tirata uno schiaffo, magari sarebbe servito a farmi smuovere, ma le mie mani non volevano saperne di schiudersi.

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