Capitolo quarantanove

4K 242 24
                                    

Lauren pov

Rimasi in piedi davanti all'auto come una stupida, aspettai per più di un'ora e mezzo, ma nessuna traccia di Camila.

Imbracciai la borsa, consegnai la valigia all'autista che gentilmente la ripose nel bagagliaio. Attesi qualche altro minuto, osservata dall'uomo con sguardo confuso e un mezzo sorriso sulle labbra.

«Possiamo andare.» Conclusi scoraggiata, sospirando.

L'uomo fece un cenno col capo, ed entrò all'interno, chiudendo la portiera alle spalle. Un'ultima occhiata verso la porta principale, una flebile speranza ancora accesa di vederla correre di tutta fretta verso di me, annaspando perché i capelli le ricadevano disordinati sul volto, faticando a muoversi difilata perché intralciata dalla valigia. Non accadde.
Camila non arrivò e per me era arrivato il momento di partire.

Aprii la portiera, entrai nella macchina, continuando a fissare la vetrata e alzando il collo ogni qualvolta che una persona vi passava attraverso, sperando fosse lei.

Il motore si accese, rimbombando. I sedili vibrarono sotto di me e nonostante l'autista mi stesse chiedendo dove fossimo diretti, il mio sguardo era costantemente rivolto verso l'entrata e non vi feci caso.

«All'aeroporto, grazie.» Disse qualcuno al mio fianco.

Mi girai di scatto, trovando Camila alla mia sinistra, sorridente. Balbettai qualcosa di incomprensibile, virando lo sguardo verso la porta principale non capacitandomi di come avesse fatto.

«Sei in ritardo.» Si voltò un solo istante per allacciarsi ma cintura, poi tornò a guardarmi, senza smettere di sorridere.

«Io, io.. tu.. cioè...» Farfugliai, gesticolando nervosamente. Camila scosse flebilmente la testa, capendo ciò che stavo cercando di dire.

La macchina si immise nel traffico, il sorriso dell'uomo adesso era motivato. A quanto pare lui sapeva che stavo aspettando qualcuno che in realtà, era già arrivato.

Mossi le labbra in cerca di parole, ma non riuscii a dire niente. Mi limitai ad allungare la mano verso la sua, stringerla nella mia.
Camila intrecciò le nostre dita assieme, guardandomi fissa negli occhi. Le luci della città si proiettavano attraverso il finestrino oscurato, formando un'aura ai lati della sua testa.

Aumentai la pressione nella giuntura fra le nostre mani, la sua pelle caramellata si imbiancò dove impressi la forma dei miei polpastrelli. Camila sorrise, scuotendo leggermente il braccio, tramandando il movimento al polso e di conseguenza anche al mio. Un gesto repentino, ma dolce.

.......

Sull'aereo Camila non aprì il discorso "Lucy", ci sarebbe stato tempo in seguito, quella sarebbe stata la nostra giornata e di nessun altro.

Sgranocchiò delle patatine rancide, si tolse le scarpe aiutandosi con la punta dei piedi e sistemò una coperta sulle gambe, rannicchiandosi sulla poltrona.

«Tua madre mi odia.» Non sembrò una domanda, ma più che altro un'affermazione.

Non mi sentii di dissentire, non potevo prometterle che sarebbe stato un pranzo familiare tranquillo, come se niente fosse successo, ma sapevo che mia madre non era in grado di odiare proprio nessuno.

«Non ti odia. Forse le stai un tantino antipatica.» Minimizzai, quantificando il sentimento tra l'indice e il pollice, e contraendo i muscoli facciali in un'espressione vagamente angelica.

Go back in timeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora