Capitolo ventisette

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Camila pov

Erano le sette di mattina e nonostante fossi sveglia da diverso tempo ormai, tentavo ancora di prendere sonno nonostante sapessi che mi sarei dovuta alzare fra qualche minuto.

Mi venne quasi un senso di nausea e se fossi rimasta un altro secondo dentro quella cuccetta angusta che sembrava restringersi sempre più, avrei vomitato. Scivolai fuori dalle coperte, mi incamminai in punta di piedi verso la cucina e versai una tazza di caffè, riscaldato dal Thermos.

Avrei avuto bisogno di quanta più caffeina possibile per affrontare il viaggio.

La prima tappa era Filadelfia. Circa due ore di viaggio, ma considerando il traffico avremo impiegato sulle tre ore.
Rispetto agli viaggi che avevamo intrapreso -alcuni superiori alle ventiquattro ore- quello era un tragitto piuttosto esiguo, ma non ero comunque pronta a trascorre tutto quel tempo in stretta compagnia di Lauren, o di qualsiasi altra persona. Avrei solamente voluto distendermi nella mia cuccetta, che tempo addietro trovavo estraneamente confortevole, e svegliarmi fra qualche anno. Forse sarebbe stato tutto più facile.

Sorprendentemente, la prima a raggiungermi fu Dinah. Di solito era la più lenta di tutte, ma quella mattina non fu così.
Versò il caffè dentro la sua tazza, quella che le aveva regalato per il suo compleanno cinque anni fa. A quanto pare non aveva mai pensato di disfarsene.

«Come ti senti?» Chiese con accortezza, sedendosi accanto a me.

Scrollai le spalle in un movimento rapido. Non ero sicura di come mi sentissi, avevo il timore di guardarmi dentro e l'introspezione era l'ultima delle mie alternative, al momento.

«E tu?» Domandai, spostando la conversazione su di lei. Era sempre più facile parlarle degli altri che di se stessi.

«Sono eccitata, un po' nervosa, ma su di giri.» Sorrise, sorseggiando un po' del caffè bollente che stava aumentando la sua eccitazione e smussando la mia stanchezza.

«A dire il vero, andare in tournée mi è sempre piaciuto. So che molto presto sentirò la mancanza della mia famiglia, ma realizzo un sogno ogni volta che mi esibisco e questo mi ripaga.» Dichiarò, alzando lo sguardo verso l'alto come se già immaginasse il momento in cui avrebbe calcato la scena e un inesorabile sorriso nacque sulle sue labbra.

Condividevo la sensazione di Dinah, ma in un certo senso quell'emozione si era assottigliata. Cantare, esibirsi, ormai era diventato abitudinario e non sentivo più quella scossa attraversarmi la spina dorsale ogni qualvolta che mi apprestavo a salire sul palco.

«Datemi un buon motivo per non uccidere qualcuno.» Biascicò Normani, barcollando nella stanza con gli occhi ancora socchiusi e appesantiti dal sonno. Non era abituata a svegliarsi così presto.

«Perché la prigione puzza.» Tentò Dinah, bevendo subito dopo un sorso di caffè che nel frattempo si era intiepidito.

«Perché c'è un solo bagno.» Addussi io e subito Dinah assentì alla mia teoria.

«Anche noi abbiamo un solo bagno.» Constatò Mani, lasciandosi cadere pesantemente al fianco della polinesiana e usando la sua spalla come cuscino alternativo.

«Si, ma diciamo che le condizioni igieniche della nostra toilette sono leggermente migliori.» Appurò Dinah, circondando le spalle dell'amica con il braccio.

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