Fu difficile non alternare lo sguardo dal volto della domestica, alla figura di Aubrey nascosto tra le fronde.
Da quando, qualche giorno prima, avevano chiacchierato, il ragazzo era tornato a spiarlo tra gli alberi. A volte si avvicinava persino al balcone e picchiettava sul vetro, richiamando la sua attenzione.Aaron si ritrovò a sospirare mentalmente, stringendo le labbra a disagio.
Gli aveva detto chiaramente che non voleva vederlo lì sopra, ma, più lo rimproverava, più l'altro si arrampicava, mostrandogli in cambio un sorrisetto furbo.
Sembrava lo facesse apposta e, pian piano, stava diventando una certezza.Aubrey lo voleva mettere in difficoltà.
La donna continuò a elencargli le pietanze preparate e come riscaldarle, ma Aaron non le prestava attenzione.
Osservò con sgomento la figura di Aubrey muoversi tra i rami, come se fosse un animale, e portarsi vicino al balcone per sbirciare gli interni.Il cuore di Aaron iniziò a palpitare più velocemente.
Come avrebbe spiegato quella situazione?
Cosa avrebbe detto suo padre nel vederlo in compagnia di un tipo così superficiale?Strinse le mani in tasca e si concentrò sulla donna, annuendo di tanto in tanto. Finse di ascoltarla e in realtà guardava di sfuggita le mosse del ragazzo proprio dietro di lei.
Aubrey gli scoccò un sorriso beffardo. Imitò con la mano l'atto del parlare, indicando con il mento la domestica, per poi roteare gli occhi e sbuffare.«Compreso tutto, signorino? Qualche domanda?» esordì la donna, impilando i contenitori.
Aaron scosse in fretta la testa, celando il proprio sgomento dietro a un'espressione accondiscendente.
«Grazie, Anna. Sei stata gentilissima» disse affettuoso, posandole addirittura una mano sul braccio.
In cuor suo, pregò che la donna non notasse l'ombra di Aubrey in movimento riflessa sul pavimento.
Tirò un sospiro di sollievo quando la vide imboccare il corridoio, trascinando la valigia con sé.
La salutò cordialmente, assicurando che andava tutto bene, sebbene il proprio colorito non rispecchiasse le sue parole.
La paura costante di scontrarsi con la verità nella scuola lo teneva sveglio ogni notte, privandolo del tanto agognato riposo.Ascoltò il suono dei tacchi per le scale e, quando il cappello vaporoso indossato scomparve, chiuse la porta e lasciò andare il respiro.
Si precipitò in cucina, i denti serrati così come le mani.«Aubrey!» esclamò, aprendo la finestra verso il paesaggio.
Il ragazzo in questione corrugò la fronte, storcendo il naso.
«Sei arrabbiato» constatò, ciondolando le gambe oltre il ramo.
Aaron aprì la bocca e lasciò che l'aria gli invadesse i polmoni.«Come ti sei permesso di mettermi in difficoltà? Come avrei potuto spiegare la tua presenza?» gesticolò, prendendo colore sulle guance e sulle orecchie.
Sentiva la pelle andare a fuoco.
Aubrey incurvò le labbra e si sporse in avanti, muovendo l'orecchio nella sua direzione.«Usi parole difficili» commentò sbuffando.
Il moro chiuse le palpebre per qualche secondo e si impose di calmarsi.
Fare una scenata non era da lui.
Un conto era cercare degli amici a scuola, amici disposti a difenderlo, un conto era dover combattere con l'impossibile carattere di Aubrey.Era capriccioso, sfrontato e invadente.
Tutte qualità che Aaron proprio non sopportava.«Puoi entrare?» disse Aubrey, muovendo le gambe per tentare un salto fino al balcone.
Aaron riaprì gli occhi e li spalancò.
«No! Non puoi entrare» esclamò, sbattendo i vetri tra loro così forte da farli tremare.
Inserì il catenaccio e gli volse le spalle.
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Schiavo del Mio amore Malato
Fiction généraleQuando qualcosa si rompe, il più delle volte è impossibile riportarlo alla sua forma originale senza intravedere ancora le sottili crepe della colla, una scalfittura nel materiale, un alone di troppo. Aaron Baker lo sa bene, costretto a lasciare gli...