-La calma insieme a te.-

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Osservò con occhi assenti la superficie dell'acqua.
Il proprio riflesso ricambiò l'occhiata e le iridi si posarono sulle labbra gonfie di baci.
Sospirò, immergendo la punta delle dita nella vasca, creando piccole increspature circolari.
Aveva assecondato Aubrey, ricambiando il bacio con trasporto.
Cosa gli stava prendendo? Come poteva un ragazzo avere un tale magnetismo su di lui?
E pensare che all'inizio neppure lo voleva in casa sua.

Arrossì al solo pensiero dell'imminente bagno.
Stava tardando l'inevitabile, prima o poi si sarebbe dovuto immergere nella vasca assieme a lui.
Percepì un rumore dall'altra stanza e sciolse le spalle.
Aveva abbandonato Aubrey all'entrata di casa. Il biondo si era categoricamente rifiutato di tornare nel corridoio, se non quando fosse stato pronto a immergersi.

Aaron si portò le mani al volto e lasciò che le gocce calde gli bagnassero le guance.
Ricercò con la mente le immagini della sua vecchia amica d'infanzia, la ragazza che i suoi genitori avevano progettato di fargli sposare non appena avesse compiuto i vent'anni.
Denise. Il solo nome bastava a farlo sorridere.
Quella ragazza era meravigliosa: aveva il cuore nobile e volenteroso, la sua mano era sempre pronta a tendersi verso i più bisognosi.

Aaron mosse le dita ed ebbe la sensazione di accarezzarle i bellissimi capelli biondi, lisci come seta pregiata.
Solo una volta si erano scambiati un bacio a fior di labbra. A dire il vero, Denise lo aveva baciato.
Lui era rimasto impalato, occhi sgranati e guance inondate di imbarazzo e sorpresa. Un vero e proprio imbranato.
Quali sentimenti aveva provato in quel momento? Tante emozioni ma... si potevano paragonare a quelle stesse sensazioni scaturite dai tocchi di Aubrey?
Strinse le palpebre e si morse le labbra.

«Cosa c'è che non va in me?» rantolò curvandosi in avanti, abbracciando il suo stesso stomaco dolorante.
Il solo pensiero lo faceva stare male.

«Aaron» sentì gemere Aubrey, la voce inondata di panico.
Il moro riaprì gli occhi e tirò fuori il fiato trattenuto.
Quasi sorrise al pensiero della paura di Aubrey, fermo impalato davanti alla porta di una casa che odiava più di ogni altra cosa.
Si alzò e chiuse l'acqua arrivata ormai a più di metà. Se l'avesse riempita ancora, una volta entrati dentro, avrebbe trasbordato.

Afferrò una manciata di sali in un barattolino di vetro e li gettò sulla superficie. Rimase a osservare quei piccoli sassolini roteare e toccare il fondo.
A volte, si sentiva proprio come loro.
Aveva la sensazione di trovarsi alla fine di un grande pozzo, le braccia troppo deboli per aiutarlo nell'arrampicata e guadagnare l'uscire, mentre l'acqua cominciava man mano a salire.
Erano gli altri a riempire quel vasto pozzo, a svuotare i secchi di legno colmi sulla sua testa.

Rifletté, ipnotizzato da quei minuscoli sali che andavano a sciogliersi con lentezza.
E se invece fosse lui stesso il solo artefice del proprio dolore? Dopotutto, se fosse venuto su come un ragazzo normale, non avrebbe avuto problemi.
Spesso sognava di trasformarsi nel perfetto figlio di Jonathan Baker: un ragazzo atletico, forte, con un sorriso sfrontato e la loquacità appartenuta alla famiglia.
Abbassò lo sguardo sulle sue mani deboli, scendendo a fissare le gambe sottili.

Un sogno, ecco cos'era.
Non era forte, non era loquace e, di certo, non era coraggioso.

Sbuffò e si mosse verso la porta, raggiungendo il salone con grandi falcate.
Non appena lo vide, Aubrey gli venne incontro, gli occhi spalancati e cerchiati.

«Dove sei?» si lagnò, attaccandosi alle sue mani tese.
Aaron abbozzò un sorriso di scuse. «Perdonami, ci vuole un po' a riempire la vasca» disse, ridendo nel vederlo sussultare nell'incrociare con lo sguardo l'appendiabiti dove Aaron aveva steso la sua maglia bagnata.
Chissà come lo vedeva nella sua mente.
Lo paragonava a un mostro venuto da chissà dove? Probabile.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora