Sentiva il cuore battere dentro al petto, il respiro rimbombare nelle orecchie, le ossa scricchiolare di un tremore di cui il corpo si era cosparso senza il suo permesso.
E pensare che avrebbe potuto impedire tutto quello con una sola azione, un semplice volgere le spalle e ignorare persino l'odore ferroso delle lenzuola completamente imbrattate di sangue.
La macchina addossata al muro diede un nuovo impulso, un sibilo della durata di qualche secondo, eppure ad Aaron suonò come una campana degna del peggiore dei funerali.
Trattenne il fiato, prese coraggio e decise di puntare lo sguardo sul volto pallido e addormentato di Steven.Era vivo.
Era maledettamente vivo.Aveva perso molto sangue e solo grazie all'intervento della sorella erano riusciti a compiere la trasfusione.
Un ingranaggio perfetto e oliato a puntino: se non fosse uscito in quel preciso istante non avrebbe mai incontrato Joyce, e quindi la possibilità più ovvia sarebbe sfumata via e, forse, Steven sarebbe caduto del tutto in quella fredda struttura.
Il destino aveva scritto un percorso, e Aaron lo aveva completato per filo e per segno.«Il ragazzo ha ancora bisogno di riposare, ma è fuori pericolo» annunciò il medico, un uomo basso dalla barba folta e poco curata che fece storcere d'istinto la bocca di Aaron. Un tipo rozzo, troppo diverso dagli alti esperti del suo ospedale di fiducia, dove ogni singolo granello di polvere veniva spazzato via senza permettere di toccare alcunché.
Aaron abbozzò un sorriso grato e nascose lì dietro il suo disgusto, così come la smania di uscire dal quel luogo il più in fretta possibile.
Doveva fingere di essere un fidanzato in apprensione, devastato dalle sorti del proprio partner.
Per quanto ancora sarebbe stato costretto a indossare quegli abiti scomodi?
Era stanco di portarli sempre: a scuola; per strada; persino in quel patetico luogo dove tanti entravano vivi, ma molti di più lo lasciavano sdraiati dentro un freddo contenitore di legno.«Torno ai campi. Ce la fai a stare qui fino a quando è sveglio?» disse Joyce posandogli una mano sulla spalla, un gesto pesante per la gracilità di Aaron e del suo animo appeso nel corpo con un paio di mollette.
Annuì, un solo cenno con la testa, neppure un'alzata delle labbra.
Aveva raggiunto il suo massimo, non poteva chiedere troppo a se stesso.
Udì la porta chiudersi dietro di sé e i pugni si strinsero in un gesto involontario.
Venne assalito dalla rabbia, un sentimento forte e lacerante che percorse ogni singolo punto laddove la cattiveria di Steven si era abbattuta con inclemenza.«Sei vivo, bastardo» mormorò tra i denti, gli occhi socchiusi e le narici dilatate.
Erano l'ira e la disperazione di ritrovarsi da capo a dodici a parlare, nient'altro.
Si sedette sulla sedia scomoda a pochi passi dal letto, la schiena rigida come un pezzo di legno.
Non seppe dire quanti minuti trascorse in quella posizione, forse arrivò persino a sfiorare il conto delle ore. Il sonno sembrava non volere accogliere le sue ossa stanche, neppure dopo aver passato la notte in bianco per impedire a quel ragazzo di morire tra le sue braccia.In quella calma apparente le domande iniziarono a riaffiorare e, più provava a ignorarle, più spingevano contro le tempie, intenzionate a prendere il comando dei suoi pensieri.
A conti fatti, perché lo aveva salvato?
Era vero, non avrebbe voluto trovarsi di fronte alla morte, eppure sentiva altro, una sensazione nascosta come un virus invisibile, pronto ad attaccare al primo segnale di indebolimento.
Sfiorò con lo sguardo i tratti dell'altro, ne assorbì i lineamenti privi della solita carica: le labbra erano screpolate; le sopracciglia un pelo corrucciate; il respiro ridotto a un soffio.
Per la prima volta da quando lo conosceva, Aaron si sentì più forte di lui, e il piacere di quella scoperta lo scosse come uno schiaffo improvviso, ne percepì il gusto sulla punta della lingua e nel sorrisetto impertinente appena accennato.
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Schiavo del Mio amore Malato
Fiksi UmumQuando qualcosa si rompe, il più delle volte è impossibile riportarlo alla sua forma originale senza intravedere ancora le sottili crepe della colla, una scalfittura nel materiale, un alone di troppo. Aaron Baker lo sa bene, costretto a lasciare gli...