Capitolo -6-

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Nota: Il pezzo finale del capitolo è appositamente scritto in un modo diverso per dare più spessore.

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Steven si svegliò di soprassalto al suono dell'apertura della porta di casa, il cigolio propagato tra le mura.
Deglutì e si alzò veloce dal letto, il movimento fece mugolare contrariato Aaron, le fessure grigie si dischiusero e divennero subito impaurite.

«Shht» lo intimò portandogli una mano alla bocca, le dita premute contro quelle labbra spaccate.

Il moro lo fissò stranito quando comprese l'urgenza vibrare sulla sua pelle.
«Cosa succede?» chiese in un flebile mormorio e Steven scosse il capo, infilando i calzoni senza curarsi di rimettere i boxer.
Ingoiò ancora e prese un bel respiro, immergendo gli occhi in quelli dell'altro ormai del tutto aperti.

«Qualunque cosa accada, non emettere un fiato. Se senti dei passi venire di qua, nasconditi. Ci siamo capiti?» disse roco lanciandogli uno sguardo tagliente.

Aaron annuì più volte e strinse il cuscino tra le dita. Non aveva mai visto Steven con un'espressione spaventata anzi, pensava non fosse neppure capace di provare quel sentimento.
Il maggiore si gettò nel corridoio e si parò davanti alla porta di mezzo in tempo per impedire a quella persona di proseguire oltre.
Macchiò di un sorriso falso la sua bocca, tirandola il più possibile verso l'alto.

«Madre», esordì, «cosa sei venuta a fare?»

La donna si strinse nella tunica di cotone sporca, i capelli scuri raccolti in una crocchia tirata verso l'alto, le macchie di sole a deturpare il volto.

«Stivi, non sei giù con noi, ed è buono per una Santa donna vedere il suo bambino» sputò fuori con una smorfia simile a un sorriso, gesticolando con le mani per aggiungere particolari alla sua frase.
Il figlio annuì con i denti serrati e dentro si sentì ribollire di rabbia.

Cazzate.

Non gliene fotteva niente di lui, ma solo di ricevere soldi quando la mietitura del riso andava male.
Aveva trovato un passatempo remunerativo intrattenendosi i pomeriggi dopo scuola con alcune donne e uomini. Perché dovevano sempre approfittare della sua situazione?

«Chi vi sta col fiato sul collo?» chiese atono posando i palmi sullo stipite della porta.

Non poteva farla passare, lei soprattutto.
Sua madre si era sempre raccomandata di non contaminare gli abitanti della città media con la loro famosa malattia nel sangue. Se avesse visto Aaron, un esponente di quella ricca, si sarebbe messa a gridare e a sbraitare, o chissà cos'altro.
Il suo piccolo segreto doveva restare tale, a costo di sputare sangue sotto i suoi colpi.
La vide mordicchiarsi le pellicine delle labbra, gli occhi bassi e un cenno alle proprie spalle, come se fosse stata seguita da qualcuno.

«Madre» la incitò senza tuttavia perdere la pazienza.
Prima andava via, prima sarebbe tornato a respirare.

«Siamo in ritardo, noi. Signore è arrabbiato e ha chiesto di te» rivelò torcendosi le dita, grattando via qualche vescica dalle braccia.

Signore.
Era questo il nome con cui chiamava suo marito. Un padrone indiscusso, guai a chi disobbediva.

«Non ho niente per voi. Vattene» ringhiò muovendosi avanti, la mole decisamente robusta in confronto a quel fuscello tremolante.

«Stivi, Signore è fuori e non puoi fare tardi» biascicò strattonata dalle braccia del figlio.

Il respiro volò via dalle labbra di Steven.
Era qui?
No, no. Non poteva. Non si muoveva mai. Non osava salire così in alto.
Strinse le palpebre e calmò il corso dei suoi pensieri con uno sbuffo.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora