Capitolo -8-

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La macchina proseguiva con quel suono ritmico, un fastidioso rumore uguale e deprimente.
Aaron fissò prima la parete scrostata dall'intonaco, poi le sue dita chiuse a pugno sulle gambe. Aveva trascorso ore senza sonno, il respiro come compagno di quei minuti inclementi. Li aveva visti rallentare e andare avanti, tornare a torturarlo e infine concedere un attimo di riposo alle sue membra stanche.
Premette le dita sulle palpebre chiuse e gli fece male doverle anche solo dischiudere di una fessura nell'udire dei passi farsi vicini.

«Ti ho preso un caffè caldo.»

Conosceva quella voce davvero da poco quando, in preda al panico, si era messo a viaggiare per le vie sporche e malsane della città dove abitava con Steven.
Aveva ingoiato il voltastomaco per la situazione pietosa in cui versavano le strade, o per l'odore di urina impressa su ogni muro.
Sapeva che non sarebbe riuscito a superare gli archi e a tornare tra i palazzi più sistemati. Il suo corpo era paragonabile a una carta imbevuta d'acqua: si sarebbe afflosciato prima del tempo fino a toccare il patetico fondo in cui versava la sua vita.

Per quella ragione si era sentito stordito e forse un pelo sciocco a viaggiare tra quei vuoti malinconici, tra le strutture piene di ombre e miseria.
Aveva assimilato i toni rudi, scocciati, ostili.
Aveva stampato nella mente le facce smunte e bruciate dal sole, le schiene curve, le mani tozze e rovinate.
Aveva ingoiato la paura, lottato contro le lacrime, vinto il disagio.

Provò a ignorare il ricordo delle immagini e sorrise un pelo, ringraziò e cinse i bordi del bicchiere, osservò il liquido muoversi pigro quando lo portò a un soffio dalle labbra. Il calore della bevanda pizzicò i suoi occhi e li strinse prima di ingoiare una generosa sorsata.
Gli bruciò la gola e dovette ingoiare molte volte per allietare il dolore.
Ascoltò il peso delle sedie portarsi in avanti, le viti fissate al muro gracchiarono per la fame d'olio, tuttavia ressero e tornarono al proprio posto.
Uno sbuffo, poi un altro ancora.

«Mi dispiace che tu devi restare.»

Aaron scosse la testa. In realtà avrebbe voluto trovarsi altrove a festeggiare le condizioni del suo carceriere, colui che giaceva in una stanza a pochi passi, ancora privo di conoscenza.
Il fato lo aveva colpito forte, ma Aaron sapeva che le mele peggiori erano le sole a sopravvivere, sempre. Altrimenti non si sarebbe spiegata l'assenza di giustizia nei confronti della sua famiglia.
Loro sì che meritavano una fine ben peggiore di un'orribile perdita di sangue.
Strizzò le palpebre.
Era la stanchezza a parlare, solo quella, si disse.

«Sono io ad essere dispiaciuto nel costringerti a rimanere qui e non al tuo lavoro» disse e si specchiò negli occhi della donna al suo fianco.

Joyce Smith.
Impossibile pensare che proprio lei, con quell'espressione dolce e gentile, fosse imparentata con la famiglia di Steven. Dov'era la malignità che ottenebrava ogni respiro della sua generazione?
Quando si era spinto per le strade a gridare aiuto, lei era stata la prima ad avvicinarsi e, scoperto il nome del fratello, aveva fatto di tutto per portarlo al pronto soccorso più vicino.

Aaron ricordò con un brivido la situazione nella quale lo avevano trovato: immerso nel proprio sangue, il sorriso sul viso e il braccio a penzolare nel vuoto.
Non riusciva ancora a togliersi dalla mente la scritta sul lenzuolo, un nome che ultimamente aveva creato un breccia nei loro silenzi.

Asher.
Era lì, impressa con il rosso a sporcare la stoffa proprio a un soffio dalla pozza più grande.
Asher.
Lo stesso nome uscito dalle labbra di Steven durante molte notti, mentre i suoi incubi sembravano afferrare i bordi della spalliera e tirare, tirare fino a volerlo buttare giù.

In quei momenti Aaron fingeva di dormire e, quando il corpo di Steven si tirava su con uno scatto, appesantiva il fiato per non essere scoperto.
Lo sentiva piangere, lamentarsi, soffiare i gemiti tra le dita chiuse davanti al volto e alla fine abbracciare la sua esile figura chiedendo perdono.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora