-Accettare il compromesso.-

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Il cielo stesso sembrò assorbire i sentimenti confusi di Aaron: era plumbeo e perennemente grigio.
Gettò per l'ennesima volta un'occhiata al proprio polso avvolto dalla mano di Jacob.
Non c'era stato poi molto da capire, anzi, il più grande non si era speso in grandi discorsi. Gli aveva semplicemente ordinato di seguirlo e, se avesse opposto resistenza, l'avrebbe sollevato e portato via di peso.

Esisteva un modo in cui ribattere?

Deglutì a vuoto e provò a generare saliva per allietare la propria gola secca.
Pensò di gridare e chiedere aiuto, ma quale persona sarebbe riuscita a trovare il coraggio di affrontare un simile colosso?
O forse, era la paura a renderlo ancora più grande del normale.

«D-dove stiamo andando?» balbettò la domanda con le palpebre sgranate.

E se l'avesse portato in un posto pericoloso, o peggio, avesse messo in atto le minacce di qualche tempo prima?
Sentì un sapore amaro in bocca e lo ributtò giù, impedendo alle lacrime di scendere sulle proprie guance.
Jacob gli rivolse appena uno sguardo da sopra la spalla. Restò muto, le labbra sigillate e lo sguardo di disprezzo sul volto.

Aaron si sentì piccolo e violato senza bisogno di parole: bastarono quegli occhi colmi di oscurità.
Riconobbe con un tuffo al cuore il vicolo dov'era situata l'abitazione dell'altro, e fu in quel preciso istante che decise di supplicare per la sua liberazione. Si umiliò e lo pregò con ogni frase possibile, si lasciò persino accasciare a terra pur di non proseguire la camminata.

Il più grande sbuffò sonoramente.
Mosse le braccia e lo afferrò per il busto, caricandoselo in spalla come un sacco di patate. «Siamo quasi arrivati, smetti di frignare che mi fai cadere le palle» borbottò agitando le chiavi tra le dita.
Ad Aaron mancò l'aria e il corpo reagì tremando.
Il suono dell'uscio lo terrorizzò più di ogni altra cosa e singhiozzò senza voce.

Cosa stava accadendo? In quale modo avrebbe potuto liberarsi da quella costrizione?

L'ultima volta non era andata poi così bene. La lotta impari lo vedeva decisamente sconfitto: un fuscello d'erba contro un albero.

«Che diavolo fai, Jake?»

Aaron riconobbe quella voce: apparteneva al ragazzo che lo aveva in precedenza salvato dalle sue grinfie.
E se avesse cambiato idea alleandosi con il compagno?
Jacob lo mise a terra in malo modo e Aaron si tenne in piedi per miracolo.
A giudicare dall'espressione sconvolta di Corey, non si trattava di un piano premeditato assieme, ma Aaron non se la sentì di tirare un sospiro di sollievo.

Jacob ghignò e indicò la sua conquista. «Ho portato la tua soluzione» disse fiero di sé, gonfiando i muscoli del petto.

Una soluzione? Cosa voleva dire?
Corey gli scoccò un'occhiata storta e nervosa. «Quindi fammi capire... è questa la tua trovata geniale?» domandò, tuttavia non gli diede tempo di rispondere e parlò ancora. «È una cazzata. Gli hai almeno chiesto se fosse disposto a venire qui? Guardalo, sta tremando di paura perché sei una dannata testa di cazzo» lo attaccò avvicinandosi ad Aaron, cingendogli le spalle con entrambe le mani.

«Stai bene?» domandò girandogli il volto, come a voler accertarsi che non vi fosse la presenza di lividi.

Aaron annuì e si schiarì la gola.
Ormai si era un po' sciolto, tuttavia, essere toccato da uno sconosciuto senza il suo permesso lo rendeva ancora nervoso, e trattenne a fatica un sussulto di ribrezzo.

«Perché sono qui?» La sua voce uscì più spaventata del dovuto affievolendosi sul finale.

Un gioco perverso? Poteva aspettarsi di tutto da uno come Jacob.
Corey sospirò e gli fece cenno di avvicinarsi al minuscolo tavolino attaccato al muro.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora