-Due al prezzo di uno.-

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Rimase per un paio di secondi a guardare il moto impetuoso di quei capelli, il vento li strattonava trasformandoli in delle onde pericolose.
Strinse i denti e si sentì perso.
Quella ragazza voleva davvero buttarsi giù? Cosa avrebbe potuto dire per impedirglielo?
Non furono quelle due domande però a preoccuparlo maggiormente, ma un'altra ben più meschina ed egoista.

Avrebbe visto per la prima volta un cadavere?

Rammentò il giorno in cui avevano preso un uccellino in seguito al morso di un gatto. Durante la notte morì e, nel vederlo rigido e senza vita, pianse lacrime amare per l'intera giornata, nascosto sotto le fronde degli alberi del giardino.

Come sarebbe stato osservare invece un corpo umano?
Doveva salvarla, lo doveva a entrambi.
Mosse ancora qualche passo senza essere udito, le dita strette nei pugni e il fiato corto.

«E-Ehi» soffiò con gli occhi sgranati.

Ogni azione poteva solo incrinare la situazione.
La sconosciuta sembrò dapprima non ascoltarlo, poi volse il capo oltre la spalla e Aaron poté vedere le lacrime solcare quel volto fragile.
Così tanta disperazione.
Non osò immaginare una valida ragione per compiere un atto così estremo; lui teneva troppo alla sua esistenza, e mai avrebbe pensato di addentrarsi in un percorso irreversibile.

«Sono Aaron. Aaron Baker» disse e si diede dello stupido.

Perché stava ripetendo soltanto il proprio nome?
Abbassò le spalle e inghiottì.

«Tu?» domandò con una punta di tremolio nella voce.

-Ti prego, fa' che risponda-, pensò in preda all'agitazione.

Silenzio.
La vide oscillare un piede in avanti ed ebbe voglia di gettarsi verso di lei e di trascinarla via lui stesso. Ma come avrebbe potuto? C'era la ringhiera di mezzo, e da aggiungere anche la sua poca forza.
Se fosse stato come Steven o Jacob non avrebbe avuto problemi, e fissò sconfitto i suoi arti sottili e deboli.
Ancora una volta un impedimento.

«La vita vale sempre la pena viverla», disse ancora, «pensa a chi lascerai, una volta lontana.»

Il pianto aumentò di intensità tanto che il corpo del moro tremò da capo a piedi.
Perché stava solo peggiorando la situazione?

«Non è facile, lo so. Ho appena perso un amico a cui tenevo tanto per un errore che neppure sapevo di aver commesso, però è stato lì, sotto i miei occhi per tutto il tempo. L'ho perso, e questo fa un male indicibile perché lui non sta tornando, e forse è questo il dolore che si prova quando qualcuno va via» soffiò quelle parole con il magone nella gola.

Gli fece male il cuore.
Il nome di Aubrey era scomparso troppo in fretta dalla sua lista già povera di amicizie.
Si sforzò di continuare, le parlò per interi minuti nella speranza di vederla cambiare rotta.
Poteva farcela.

Schiarì la voce e inneggiò una poesia imparata da molto piccolo, una storia in versi in cui si parlava di un eroe morto durante un viaggio, narrata però tramite i sentimenti della donna lasciata.
Come sempre lo commosse talmente tanto che si ritrovò a buttare fuori qualche lacrima tra le parole, tuttavia proseguì.

La trovava meravigliosamente attuale, forte ed emozionante.

Restava un inguaribile sognatore alla ricerca di una storia del genere anche nella realtà.
E se l'avesse trovata, eppure si rifiutasse di vederla?
Represse un'esclamazione di giubilo quando vide la ragazza voltarsi nella sua direzione, adesso più curiosa.
Abbozzò un sorriso caldo, un tentativo di farla sentire al sicuro.

«Non pensi sia stupenda?» sussurrò dolcemente, avvicinandosi ancora un poco.

Le iridi di un colore ambra sbiadito ricambiarono l'occhiata, la vibrazione nelle ciglia fece cadere in basso le ultime tracce di lacrime.
Annuì piano, il corpo ancora troppo in bilico.
Non era al sicuro, non ancora.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora