«Aubrey?»
Aaron socchiuse l'uscio e tese l'orecchio, lasciandosi avvolgere solo dal silenzio della propria abitazione.
Sfilò la borsa dalle spalle e la appese al gancio, ne lisciò le pieghe e la osservò con occhio critico prima di imboccare il corridoio.
Sembrò come camminare su un piano diverso, in un mondo ancora dormiente. Alleggerì così tanto il passo da non udire neppure un fruscio prodotto dai suoi piedi scalzi, solo un paio di calzini pesanti a coprire la pelle.Sussurrò ancora una volta il nome dell'amico, tuttavia non udì risposta e, quando si affacciò nella stanza, la vide vuota.
Sfiorò i contorni del letto sistemato e sorrise, notando la cura nel provare a rimettere ogni cosa al proprio posto.
Notava delle imperfezioni qua e là, eppure volse le spalle e non andò a rassettare, battendo di gran lunga il suo essere preciso.Aveva bisogno di scontrarsi direttamente con quegli occhi caldi, di immergersi nel suo profumo e trascorrere ore meravigliose accanto a lui.
Perlustrò il resto della casa e uno sbuffo di vento gelido lo accolse varcando la soglia della cucina.
La finestra era totalmente aperta, una delle ante sbatteva poco contro il cornicione creando un bussare senza ritmo. Questo aveva reso la stanza quasi invivibile, e Aaron rimpianse l'aver lasciato all'entrata il suo cappotto.
Frizionò le mani e le scaldò con il respiro mentre camminava sorpassando il piccolo gradino degli infissi.«Aubrey?» disse ancora sporgendosi oltre il cornicione, lo sguardo a vagare tra il fogliame alla ricerca di una testa bionda.
Lo bramava come un cacciatore con la propria preda, intento a spiare il punto migliore solo per intravedere un singolo scorcio.
«Occhi nuvolosi.» Il compagno lo accolse stando seduto su qualche ramo sopra, il largo sorriso ad accentuare le rughe d'espressione.
Come aveva fatto a non pensarci?
Aubrey amava le altitudini, e più si arrampicava, più sembrava a proprio agio in mezzo alla natura.
Se fosse stato un animale, non avrebbe avuto alcun problema a sfuggire dai pericoli della terra, agile e silenzioso in mezzo alla protezione naturale fornita dalle foglie.«Hai dormito?» domandò Aaron ascoltando il battito accelerare anche solo per il fatto di averlo visto.
Era trascorsa poco più di metà mattinata, eppure ne aveva sentito terribilmente la mancanza.
Aubrey annuì e rise. «Come un...», ci pensò su e storse le labbra, «... uno di quegli animali che dormono tanto» concluse con un'alzata di spalle.
Capovolse il corpo e il moro lo fissò con un sussulto. Possibile non provasse neppure un briciolo di timore?
Il solo pensarsi a compiere un'acrobazia simile gli fece venire un giramento.
Lo osservò tenersi fermo con le gambe, le braccia tese nella sua direzione e la mano a intimarlo per mettere un piede sul ramo.Aaron ingoiò e strinse i pugni.
Diceva sul serio?
A giudicare dalla sua espressione non esisteva un'altra soluzione se non quella di accettare. I suoi occhi, difatti, dicevano chiaramente: o lo fai tu, o verrò a prenderti personalmente.Poteva farcela.
Si trattava solo di avanzare un passo dopo l'altro. Certo, erano da mettere in conto: l'equilibrio; il ramo scivoloso; l'altezza elevata e il vento prorompente.
E se fosse caduto?
Non si sentì più così sicuro come un secondo prima. Era sempre così facile per lui cambiare idea, un po' come sbattere le palpebre.
«Dai, ti tengo io, bellissimo» lo provocò il biondo con un ghigno sfrontato.
Non sapeva che Aaron non era il tipo da accettare le sfide: preferiva volare basso e non piantare paletti irraggiungibili sulla sua strada.
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Schiavo del Mio amore Malato
Narrativa generaleQuando qualcosa si rompe, il più delle volte è impossibile riportarlo alla sua forma originale senza intravedere ancora le sottili crepe della colla, una scalfittura nel materiale, un alone di troppo. Aaron Baker lo sa bene, costretto a lasciare gli...