-Sbagliando, si impara-

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Si sentì strano a percorrere le scale del palazzo assieme a un altro.
Giocò con le chiavi nelle mani, passandole tra le dita.
Aubrey non aveva fatto altro che tartassarlo di domande, cosa assai rara, visto che solitamente non parlava e preferiva ascoltarlo.

Aveva stilato una piccola classifica mentale: primo obiettivo, lavare via lo schifo che gli avevano gettato addosso; secondo obiettivo, costringere l'amico a fare la stessa cosa; terzo obiettivo, pensare a come rimettere in sesto i suoi libri.
Queste erano di certo le cose più importanti da fare, il secondo punto soprattutto. Non avrebbe permesso a quel ragazzo di toccare la sua casa, non con quelle mani colme di liquido maleodorante.

«Aubrey... hai voglia di fare una doccia?» domandò, tastando il terreno.

Lo avrebbe costretto. Volente o nolente, sarebbe entrato nella sua vasca, a costo di spingerlo lui stesso.
Il biondo sollevò le spalle, grattandosi il naso con la stessa mano con la quale aveva ripreso i quaderni. Ad Aaron salì un conato, e si costrinse e non guardarlo ancora.
Inserì le chiavi nella toppa e il suo cuore rallentò.

Stava davvero permettendo a uno sconosciuto di entrare nella propria abitazione?
Cosa avrebbe detto a suo padre, se lo avesse scoperto?
Chiuse gli occhi e si impose di calmarsi.

«Allora?» lo incalzò Aubrey, schiacciandosi quasi contro di lui per voler entrare.

Sospirò e girò la mano, udendo la serratura produrre il classico click. Da sotto la porta uno spiraglio d'aria lo investì, e il cuore tornò a battere con un ritmo regolare.
Era fatta.
Non poteva tornare indietro.

«Vieni, entra pur...» disse, ma il biondo lo mosse da una parte, spalancando lui stesso la porta, comportandosi come se fosse casa sua.

Lo seguì e rinchiuse l'uscio con i vari chiavistelli.
Aubrey si bloccò, guardandosi attorno. Aveva lo sguardo spaesato, quasi in trance.

«Dammi la borsa» disse Aaron, afferrando con sgomento la tracolla, sebbene questa con avesse neppure toccato l'acqua.

«Puoi stare qui?» domandò Aubrey, compiendo un passo indietro, lanciando un'occhiata veloce alla porta chiusa.

Aaron alzò le sopracciglia, lo vide ingoiare a disagio.
«Aubrey, è casa mia. Certo che puoi stare qui» lo rassicurò.
Dov'era finito il ragazzo spavaldo? Sembrava come se fosse stato inghiottito e nascosto da qualche parte, sostituendolo con uno decisamente più impaurito.
Il biondo tese una mano nella sua direzione, le palpebre leggermente spalancate e fisse su di lui.

«Non essere sciocco. Non puoi avere paura di questo posto» rise Aaron, scuotendo la testa incredulo.

Aubrey non diede cenno di volersi muovere, continuava a ingoiare e a lanciare occhiate alla porta.
Non stava scherzando, era davvero preoccupato.
Sbuffò e afferrò la sua mano, la presa venne stretta così forte da farlo gemere.

«Cosa ti spaventa?» domandò, accompagnandolo lungo il corridoio.

«Troppi... cosi» mormorò Aubrey, ruotando gli occhi.
«Sei tu che hai insistito per entrare» commentò allora lui in modo saccente, aprendo la porta del bagno, lasciandola sbattere contro la vasca posta dietro al muro.

Aubrey posò uno sguardo curioso sulla lavatrice, scrutandone ogni suo centimetro.
«Va bene. Adesso ti metti qui e mi fai sistemare i libri» disse Aaron cercando di sciogliere la presa, arrivando persino a tirare il polso del biondo, pur di liberarsi.

Stava uscendo un lato dell'amico che non pensava esistesse.
Fece scivolare gli oggetti nel lavandino e gettò la borsa nel cestello della lavatrice.
Si sfilò la maglia e l'attenzione di Aubrey si spostò sul suo corpo. Poté sentire il suo sguardo concentrarsi su ogni suo lineamento, l'espressione in completa ammirazione.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora