-La salvezza della mia rovina.-

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Aaron si sedette al proprio posto, tenendo stretta la borsa.
Fuori da scuola poteva sentirsi in forze ma, una volta messo piede in quel posto, tutto il coraggio svaniva e restava solo un senso di oppressione e malessere.
I loro sguardi.
L'invidia e la rabbia venivano riversate su di lui ogni giorno, poteva sentirli parlottare e ridere alle sue spalle.
Chiuse gli occhi e strinse la stoffa dei pantaloni.
Poteva farcela, doveva solo pensare positivo.
Un colpo sotto la sua sedia lo fece sobbalzare e, voltandosi appena, notò il sorriso ghignante di Catherine.

«Allora, signorotto. Hai voglia di spiegarmi per quale cazzo di motivo non vedo la lavagna con te davanti? O è un ragionamento troppo stupido per te?» domandò giocherellando con la penna tra le sue mani, masticando rumorosamente la gomma nella bocca.

Aaron ingoiò e la fissò tristemente.
Dov'era finita la ragazza che aveva riso con lui durante il suo primo giorno di scuola?

«Se vuoi... mi sposto con il banco un po' più a destra» rispose cordiale, tenendo a bada il nervosismo.
Lei si piegò in avanti, il seno contenuto da una maglia stretta posato sul banco, gli occhi azzurri socchiusi. «Che ne dici se invece te ne torni nella tua città di merda e ci liberi della tua presenza scomoda?» sentenziò lei ridendo maligna.

Era totalmente cambiata. La verità l'aveva trasformata e resa come tutti gli altri.
Aaron si sentì avvolgere dal dolore. Non la conosceva per niente, ma aveva sperato che almeno lei sarebbe riuscita a comprendere la situazione in cui si era trovato senza il proprio volere.
Le voltò le spalle e non rispose, abbassando lo sguardo sul banco, torcendosi le mani.

-Cinque mesi- ripeté a se stesso.
Desiderò con ardore d'incontrarsi con Aubrey, il suo unico pilastro in quel luogo ostile.
Il profumo di grano invase le proprie narici e, muovendo impercettibilmente gli occhi verso sinistra, notò Steven sedersi a un posto da lui.
La solita maglia aderente fasciava il suo petto, il collo alto gli donava un'aria più adulta e i capelli erano scomposti, probabilmente dovuto a una lunga corsa.

Come mai non ce l'avevano con lui?

Se aveva compreso bene, Steven proveniva dalla parte più povera della città.
Lo trattavano come se fosse un loro pari eppure l'istruzione ricevuta era misera o quantomeno nulla.
Il ragazzo gli lanciò un'occhiata, le iridi di un colore caldo nelle sue invece fredde.
Aaron arrossì e distolse lo sguardo, il cuore iniziò a battere velocemente.
Come mai bastava un semplice tocco sul suo corpo per mandarlo in fibrillazione?

«Buongiorno ragazzi» esordì Adam entrando nella classe, i soliti occhiali scuri sugli occhi e i capelli raccolti dietro le spalle.
Un brusio si sollevò tra gli alunni, qualcuno sbadigliò facendo così ridere il professore.
«Bene, noto che molti di voi hanno voglia di apprendere» disse, posando la borsa sulla cattedra.

«Tutti tranne uno prof», rispose un ragazzo dal fondo, «lui ha voglia di insegnare a tutti quanti» aggiunse, lanciando una cartaccia verso Aaron, colpendolo sulla schiena.
Il moro arrossì vistosamente, stavolta per l'agitazione.
Sbatté un paio di volte le palpebre e si morse le labbra. Era terribile non potersi difendere o mettere le cose in chiaro.
Doveva ingoiare e chinare il capo. Altro che testa alta, come voleva suo padre.
Non era il tipo e non ci sarebbe mai riuscito.

Adam sbuffò. «Comportatevi bene. Aaron è qui come tutti gli altri e voglio che lo rispettiate» disse, scatenando così un coro di risate e fischi.
Aaron desiderava scomparire.
Resistette alla voglia di scappare dalla classe e di nascondersi da qualche parte.
Si passò nervoso una mano tra i capelli e percepì qualcosa di umido sulle proprie dita.
Si trattava di una sostanza collosa.
Provò a muovere le dita, ma la sostanza le seguì, aggrappandosi alla pelle con ingordigia.
Mosse la mano in avanti e notò solo in quel momento la presenza di una gomma da masticare.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora