-Fidarsi di voi-

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Corse nel corridoio, corse come mai aveva fatto prima.
I corti capelli neri gli sbattevano contro la faccia, eppure, non se ne preoccupò.

Doveva allontanarsi da quella palestra, dalla scuola stessa.

Si disperò. Non esisteva un luogo sicuro. Era appena sceso nel gradino peggiore di ogni suo incubo, immerso in un acquario colmo di pesci pericolosi.

Sbatté i palmi sulla porta di uno dei bagni, arrancando in quel piccolo antro stretto, quasi claustrofobico.
Di solito, avrebbe prestato attenzione alle scritte impresse sulle mura luride, e allo sporco sul pavimento bagnato.
Non furono particolari degni di nota, non in quel momento.

Aveva il fiato corto. Si passò le dita tra i capelli gettando in terra la borsa, un paio di libri scivolarono fuori colpendo il muro.
Non sopportava nulla, neppure l'aria che gli entrava nei polmoni e usciva fuori sotto forma di singhiozzi strozzati.

Era finito.

«Perché?» mormorò basso, chinandosi su se stesso, tenendosi lo stomaco con le braccia.
Stava male, la nausea lo attanagliava come il peggiore dei colpi.
«Perché?» domandò ancora, pur sapendo che nessuno gli avrebbe fornito una risposta.

Il particolare più strano, è che non riusciva a piangere.
Non una lacrima solcò le sue guance pallide, non una sola di quelle gocce salate e disperate.
La campanella risuonò verso l'alto, un suono distorto e malinconico.
Si portò una mano alla bocca e ingoiò, ingoiò fino a quando il desiderio di vomitare si attenuò, almeno in parte.

E se non fosse andata poi così male? Se l'avessero lasciato in pace?
«Stupido, stupido, Aaron» disse piano, sedendosi sul water ingrigito.
Come poteva anche solo immaginarlo?
Era il ragazzo ricco sfoggiato come un trofeo dalla sua stessa gente, ora, attorniato da persone invidiose e meno fortunate.

Logico prendersela con lui.

Singhiozzò ancora, stavolta unendo anche i gemiti di dolore.
Non aveva trovato amici. Nessuno disposto a proteggerlo.
Fece un sorrisetto triste. Di certo, Aubrey non lo avrebbe più guardato in faccia.
Lui, più di tutti, aveva ragione di odiarlo per le sue menzogne.
Si coprì il volto con entrambe le mani, respirando attraverso gli spiragli delle dita.

Si sentì svuotato di ogni emozione.
E se avesse chiesto aiuto ad Adam? Aveva dimostrato gentilezza, e si era persino dispiaciuto per la sua situazione.
Scosse la testa. Non poteva mettere in mezzo un professore, e poi, Adam gli aveva chiaramente suggerito di cercare aiuto altrove.
Se avesse desiderato proteggerlo, lo avrebbe detto subito.

Un colpo sonoro proveniente dall'entrata lo fece sobbalzare, il cuore in gola.
Voci. Voci di ragazzi.
Smise di respirare, sollevò persino i piedi e li poggiò sul bordo del water, togliendoli dalla vista di quegli sconosciuti.
Risate, chiacchiere.
Premette le dita tremanti sulle sue labbra, fissando con orrore la fessura della porta.

Una semplice lastra di legno lo separava da tutti loro. Un particolare insignificante, ma gigante come un colosso, per uno come lui.
Il suo nome non era ancora uscito in nessuno degli argomenti affrontati, e ne fu grato.
Parlavano di ragazze, parlavano di picchiare chi e con cosa.

Andava bene.

Non era il fulcro dei loro discorsi, e questo era l'importante.
Si sentì una persona orribile, ma era ciò che faceva di lui un essere umano: pensare alla propria sopravvivenza.

Con uno scossone, la porta del bagno si aprì, le giunture cigolarono così forte che Aaron non avrebbe dimenticato quel suono per i giorni a venire.
Sollevò gli occhi terrorizzati, puntandoli dentro due iridi nocciola, calme e delicate.
Le conosceva bene.

Schiavo del Mio amore MalatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora