Prologo

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1 Settembre 2021

La sensazione della sabbia tra le dita. L'odore di nuovo che impregna le pagine di un libro aperto per la prima volta. Il giorno prima della partenza. L'istante appena successivo all'orgasmo. Un goal al novantesimo. Il momento del ritorno. Qualcosa di nuovo ancora incellofanato.

Come un mantra, continuava a ripetersi quelle parole.

"Ricorda le cose belle", gli aveva detto il suo medico quando lui gli aveva raccontato le sensazioni che negli ultimi anni, invece che diradarsi, non avevano fatto altro che divenire sempre più pressanti e assolute.

Era per questa ragione che Mario, come di consueto quando doveva affrontare un viaggio in aereo, cercava di pensare ad altro, convinto che distrarsi fosse la soluzione per star meglio. Ma non era così. Alla fine non riusciva mai a stare meglio, perché le sue angosce albergavano in una zona della sua mente a cui non si concedeva mai di accedere. Non voleva rivivere i ricordi, perché farlo avrebbe significato portare alla luce anche tutte le cose irrisolte della sua vita. E allora li evitava, come si evita di passare per i posti che ricordano i momenti belli, consapevole che ricordare avrebbe significato riaprire certe ferite mai del tutto rimarginate.

Chiuse gli occhi poggiando la testa all'indietro e cercando di non pensare che da un momento all'altro l'aereo sarebbe decollato. Dopotutto era diretto nell'unico luogo che gli fosse mai appartenuto. Verona. Casa.

Non ci sarebbe stato nulla di più bello che tornare a casa, se questo non avesse significato immergere le mani nei ricordi, frugare, scorticare la superficie con le unghie e andare più a fondo, nella direzione che aveva imparato a dirottare.

Era convinto che tornare a casa avrebbe comportato dover ricordare, ma in fondo era proprio per quello che lo stava facendo. Il lavoro era soltanto un pretesto. Avrebbe potuto evitare di tornare. Avrebbe potuto non accettare. Aveva invece scelto di tornare, e lo aveva fatto per un motivo che non avrebbe mai ammesso neppure a se stesso. Il matrimonio di Claudio.

Aveva finto di essere contento quando aveva saputo che la persona a cui più avesse tenuto in tutta la sua vita, l'unico uomo che avesse mai amato, si era fatto un'altra vita con qualcuno che gli volesse bene per davvero e che potesse dargli tutto ciò che lui non avrebbe potuto garantirgli. Aveva finto con gli altri. Con la sua famiglia, con gli amici, con tutte le persone che lo avevano informato della notizia.

Ha fatto bene. Sono davvero felice per lui. Merita di stare bene.

A volte aveva provato a raccontarsi la stessa fandonia. Aveva provato a dire a se stesso che finalmente poteva scrollarsi di dosso il fantasma del passato che non lo aveva mai lasciato in pace. Il capitolo più bello e quello più brutto di tutta la sua vita. Eppure non era felice, non lo era affatto. Nei momenti in cui decideva di essere onesto con se stesso era costretto a riconoscerlo.

Aveva provato a tardare il momento del rientro, e alla fine si era ridotto a farlo a un mese dalle nozze di Claudio. La verità era che aveva paura di affrontarlo, paura delle sue stesse reazioni al suo cospetto. Paura dei suoi occhi verdi e autentici, che gli avrebbero ricordato tutto quello che aveva cercato inutilmente di seppellire.

Non si seppellisce un sentimento, neppure se è lontano anni, neppure se lo si crede dimenticato. Basta poco per riportare alla luce certe sensazioni, specie se queste sono state totalizzanti.

Mario non aveva messo il conto il modo in cui lui stesso si sentiva se solo si provava a fare il nome di Claudio. Aveva provato a negare di sentire ancora qualcosa nei confronti di quello che era stato il suo compagno di vita, ma non era risultato credibile nei confronti di chi lo conosceva davvero. Si riteneva bravo nel dissimulare, ma le persone che riuscivano a leggere nei suoi occhi potevano scorgervi la verità.

Mentre ricordava come un mantra tutte le sensazioni positive della sua vita, quindi, non poté fare a meno di pensare a quegli occhi verdi, gli occhi di Claudio. Gli vennero in mente come un lampo che sovrasta il buio della tempesta vincendolo. Si rese conto che a nulla erano valsi i suoi sforzi di dimenticare, che con dedizione e sacrificio aveva portato avanti in quegli anni. Si era dedicato anima e corpo al suo lavoro, l'unica cosa che riusciva a dargli un po' di sollievo e che gli riempiva le giornate.

Così, proprio mentre l'aereo che lo avrebbe ricondotto a casa stava per decollare gli tornò alla mente quel paio d'occhi, e forse fu quello il colpo di grazia.

D'un tratto sentì la terra tremare sotto ai suoi piedi. L'aereo prese la rincorsa e cominciò a macinare metri sempre più in fretta finché, al momento del decollo, inchiodò d'un colpo. Le luci d'emergenza si spensero e un grido di stupore si levò da parte dei passeggeri spaventati.

Mario non gridò. Non riusciva neppure a ricordare come si facesse. Era come immobilizzato, mentre il suo corpo cominciava a tremare e delle sensazioni familiari ne prendevano possesso. Aveva di nuovo paura. Sentiva di essere sul punto di morire. Stavolta sarebbe morto per davvero. Chiuse gli occhi e strinse i pugni provando a respirare, ma quella sensazione di malessere non gli avrebbe lasciato scampo, ormai la conosceva. Il respiro spezzato si inframezzava ai rumori che sentiva intorno a sé. Voci vicine e lontane che non riusciva a contestualizzare. Non sapeva neppure più dove fosse, mentre la testa cominciava a vorticare vertiginosamente. Gli sembrò di cadere giù, nel vuoto, e in quell'istante si rese conto di essere finito nella dimensione che temeva di raggiungere.


13 Novembre 2015

Per prima cosa aveva sentito un'esplosione. Un'esplosione forte ma lontana. Nonostante le persone intorno a sé sembrassero tranquille, si era comunque sentito angosciato, anche se non sapeva spiegarsene la ragione. Il suo istinto si era sbagliato raramente. Aveva sempre presentito con estrema facilità le cose negative che gli erano poi effettivamente accadute.

Fu come se fosse rimasto bloccato in quell'attimo in cui ancora tutto può succedere, quello in cui la tragedia è alle porte, ma forse sei ancora in tempo per evitarla. L'attimo dopo il quale c'è solo il dolore, e la vita è spazzata via da un tiranno che nessuno è in grado di comandare: la morte.

E poi si rese conto del terrore. Un boato di terrore prima di essere spintonato, preso a calci, calpestato.

La morte aveva il sapore ferruginoso del sangue.


***

La prima volta che ho sentito la canzone dai cui prende il titolo questa storia mi è passata davanti come un flash una serie di immagini. Tempo fa, dopo la lettura dell'intensissimo "Molto forte, incredibilmente vicino", avevo buttato giù il prologo di questa storia, poi abbandonata subito. Ultimamente, con l'evoluzione degli avvenimenti del periodo storico in cui stiamo vivendo, queste pagine mi sono tornate alla mente sempre più spesso. Ed eccomi qui. Non sarà un viaggio facile, probabilmente. Non mi sono mai confrontata con un tema così doloroso ed attuale. Eppure ho deciso di provarci comunque.

Ah, voglio suggerirvi anche una storia che tratta di un tema simile, ma che si sviluppa su un altro livello, in un universo ben più drammatico di quello che mi figuro di tracciare io. Un universo che mi ha incatenata fin dalla prima parola, per quanto drammaticamente reale. La storia si chiama Another day, another time, la scrittrice è la bravissima Misterylady24 . Preparatevi a soffrire come solo con le storie che vi restano dentro potrete fare.

La copertina di questa storia è di @gallavickey su twitter, @itsmepinu_c su instagram. L'adoro, ma ormai lo sapete già tutti. Questo disegno è eccezionale, come tutti i suoi, del resto.

P.S. Il primo capitolo è già pronto quasi per intero, e credo di postarlo domani.
E con Controvento e Al posto suo ci vediamo prestissimo, promesso.

Non mi avete fatto nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora