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Sentire il fiato caldo dell'altro violare la sua intimità, sfiorargli la pelle ed entrargli dentro avrebbe dovuto scuoterlo dallo stato di torpore in cui versava, ma non lo fece. Claudio era completamente rintanato nel mondo che la sua mente aveva creato, quello in cui Mario non c'era e lui doveva inventarselo ogni volta. Temeva di svegliarsi e cominciava a pensare che prima o poi l'avrebbe fatto, tanto gli sembrava impossibile riuscire ad avere un confronto che li vedesse faccia a faccia.

Eppure quelle braccia forti gli ricordarono che probabilmente era proprio perché parte di quella realtà che doveva riscuotersi. Parte di una realtà in cui Mario non c'era più da tempo, una realtà in cui l'aveva rifiutato, in effetti, e lo aveva fatto proprio quando lui credeva che si fossero ritrovati.

Uscire fuori lo aiutò a ritrovare il contatto con la realtà. L'aria fresca della sera gli sferzò il viso e si aiutò col corpo di Mario per restare in piedi. Non una parola mentre uscivano dal locale, forse per paura che rompendo quel silenzio avrebbero dovuto fare i conti con qualcos'altro.

"Claudio?", chiese poi alla fine la voce che sembrava di Mario, mentre lui si appoggiava al muretto esterno al locale e prendeva a respirare pesantemente ancora ad occhi chiusi. "Apri gli occhi?", gli chiese in una pretesa da cui non seppe sottrarsi.

Perché alla fine avrebbe sempre risposto al richiamo di Mario.

E quindi li aprì, scontrandosi con quello che era sempre stato il suo passato doloroso, la spina nel suo fianco, l'errore che avrebbe commesso sempre.

Lasciò che dalle sue labbra uscisse un sospiro di disperazione.

"Sei tu?", gli chiese quasi incredulo. Non si fidava nemmeno di se stesso, dei suoi occhi.

"Sì, sono io.", gli rispose con una voce più profonda di quella che ricordava.

Mario era sempre lo stesso, un po' più robusto stretto in un abito scuro che gli fasciava le forme, ma comunque sempre bellissimo. E Claudio fece fatica persino a ricordare come si facesse a respirare, perché quando c'era lui tutto passava in secondo piano. Dovette reimpararlo, provando a concentrarsi sul battito del suo cuore che sembrava volergli uscire dal petto.

"Che ci fai qui?", gli chiese tremando appena. Non poteva credere al fatto che glielo stesse domandando, ma non riuscì a farne a meno.

"Sono venuto per Lia...", confessò come Claudio aveva immaginato. Perché sapeva perfettamente che Mario avrebbe voluto salutare sua nonna per l'ultima volta, d'altra parte l'aveva sempre adorata, "... e per te.", aggiunse inaspettatamente.

Claudio lo guardò a bocca aperta cercando di capire se facesse sul serio. Dopo due anni tornava a Verona dicendogli che era lì per lui? E lui, dopo averlo aspettato invano per tutto quel tempo, rischiava persino di credergli.

"Per me?" Non riuscì a nascondere l'incredulità della sua voce.

"Sì, Claudio... Volevo esserci, ma non ero sicuro che sarebbe stata una buona idea.", continuò guardandolo negli occhi.

Claudio si sentiva come se lo avessero appena fatto a pezzi. Sapere che Mario tenesse ancora a lui, in qualche modo, leggergli nello sguardo un interesse gli procurò un dolore che non riusciva a spiegarsi. Non riusciva a capire perché stesse male, se proprio in quel momento e per la prima volta riusciva a guardarlo di nuovo negli occhi dopo tanto e leggervi qualcosa che non fosse indifferenza.

Forse fu proprio quello a fargli male. Essersi convinto che a Mario non importasse di lui, e averlo fatto a torto. Perché a Mario importava di lui, in quel modo strano che solo lui conosceva. Lo dimostrava in una maniera che nessuno avrebbe potuto comprendere all'infuori di Claudio.

Non mi avete fatto nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora